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Così il kamikaze talebano ha ferito due parà

nostro inviato a Herat

Una Toyota Corolla di colore bianco. Un'altra. Ancora lei. Come nelle storie bolognesi dei fratelli Savi, quelli della Uno bianca. Il conduttore del Vtlm (il veicolo tattico leggero multiruolo ribattezzato Lince) che apre la nostra colonna di mezzi non l'ha neppure notata, quell'automobile. Ma c'è da scommettere che da oggi, quando all'orizzonte si parerà la silhouette di una Toyota Corolla, il campanello d'allarme suonerà un po' prima. Perché pare che stia diventando l'automobile preferita dai talebani. È già la terza volta che succede, a ovest di Kabul. Ma non è detto che il campanello d'allarme suoni al momento giusto. Ci vuole anche un po' di fortuna, come sempre.
La pattuglia di paracadutisti del 187°, tre Lince che procedono a distanza regolamentare l'uno dall'altro, stanno percorrendo la strada che va da Farah a Shindad, 150 chilometri a sud di Herat, capoluogo della regione affidata al comando del generale Rosario Castellano.
Come gli altri mezzi che incrociano il convoglio dei soldati italiani, la Toyota accosta, sembra voler cedere il passo, si ferma sul bordo della carreggiata. Il boato, la fiammata arrivano improvvise, quando il primo blindato si affianca all'automobile gonfia di esplosivo. «Il Lince ha fatto un volo di trenta metri», riferiscono dal comando della brigata. E cadendo si è ribaltato. Due dei tre soldati all'interno del mezzo sono rimasti leggermente feriti. Uno alla bocca, l'altro all'orecchio. I tipici danni di chi viene frullato all'interno di un mezzo corazzato, nonostante le potenti cinture di sicurezza che tutti i soldati indossano obbligatoriamente, proprio per evitare ferite più serie in caso di ribaltamento.
Della Toyota, e del suo occupante, sono rimasti solo frantumi anneriti e accartocciati.
Però non è un buon segno, questo del kamikaze. «Un attacco subdolo - dice il generale Castellano, comandante della Folgore - che ha tutta l'aria di preludere a un cambiamento di strategia. Negli ultimi tre mesi, quando siamo stati attaccati a colpi di kalashnikov e di rpg, i razzi anticarro, gli insorti hanno avuto sempre la peggio. Quella di ricorrere al kamikaze, come in Irak, potrebbe essere la loro nuova arma».
Ma è a Garmsir, nel sud dell'area affidata al nostro comando, che l'offensiva scatenata dai marines americani si è trasformata ieri in una «battaglia infernale». È la definizione usata dal capo delle operazioni militari nella regione, il generale Larry Nicholson. Segno che i talebani, e le bande legate al “cartello” degli insorti, hanno opposto una resistenza che forse neppure gli americani si aspettavano. C'è un soldato Usa morto in combattimento, mentre dell'altro, quello che secondo i talebani sarebbe nelle loro mani, vivo, non si sa nulla. Se non che continua a mancare all'appello.
Si è chiusa invece nella notte fra giovedì e venerdì l'operazione «Ex abrupto» lanciata dai parà della Folgore nella valle di Musahi in appoggio alla spallata sferrata dalle truppe regolari afghane nel sud di Kabul. Nella rete sono rimasti impigliati una decina di terroristi, e un discreto quantitativo di fucili mitragliatori sono stati sequestrati. Ma è presto, e forse è imprudente, cantare vittoria.
Catafratti nelle grotte, nei valloni e sulle montagne di cui conoscono ogni sentiero e ogni nascondiglio, gli insorti capiscono che sarebbe un suicidio battersi in campo aperto con i marines e gli altri soldati della coalizione. La guerriglia, come con gli inglesi a suo tempo, e poi con i russi, sarà ancora la loro arma prediletta, ribadisce Yusuf Ahmadi, uno dei portavoce degli “insorti”, come se ce ne fosse bisogno. Stando allo stesso Ahmadi, le mine piazzate dai “fedeli” lungo le strade dell'Helmand hanno distrutto molti veicoli dell'alleanza. Di certo, ammette il generale Nicholson, non è una passeggiata per gli americani, anche se il rullo compressore a stelle e strisce sta facendo piazza pulita delle sacche di resistenza dei talebani attestati nelle zone di Nawa, Garmsir e Khan Neshin.
A Forte Sterzing, la nostra postazione avanzata nella valle di Musahi, la tensione resta alta. Ma c'è anche il sollievo di sapere che i lanciatori di razzi che l'altro giorno hanno preso di mira noi e i poliziotti afghani acquartierati nell'area, forse sono tra quelli arrestati nell'operazione, o si sono comunque allontanati a razzo dall'area quando hanno visto che le cose si mettevano male. Dunque c'è anche il tempo, ora, di scambiare qualche battuta con la pattuglia di soldati della Guardia nazionale della Georgia, secondo battaglione, 121° reggimento. Arrivano, si fanno offrire una Coca dai nostri, qualcuno chiede della crisi economica negli Stati Uniti.

Uno della pattuglia Usa, un ispanico, dice allora che oltreoceano se la passano male. «C'è gente, nella Guardia, che sta chiedendo di venire qui. E chi c'è, si rafferma. Meglio lo stipendio sicuro dell'esercito... », dice.

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