"Così mia nonna Anna ha rotto gli schemi con l'urlo più famoso del cinema italiano"

La nipote dell'attrice Olivia Magnani racconta "Roma città aperta"

Anna Magnani
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"Francesco! Francesco!". Anna Magnani corre dietro la camionetta tedesca che si porta via il suo uomo. Una sventagliata di mitra; cade sull'asfalto. Ed entra nella leggenda. L'urlo più famoso del cinema italiano compie ottant'anni. Era il settembre 1945 quando, al Quirino di Roma, esplose la rivoluzione neorealista di Roma città aperta. Con Olivia Magnani, nipote dell'immensa Nannarella e attrice (rivelata da Le conseguenze dell'amore di Sorrentino) ripercorriamo il mito del capolavoro di Roberto Rossellini, che impose il nostro cinema nel mondo. E che la Magnani considerò sempre il suo più bello.

Signora Magnani: quante volte l'ha vista, la scena della corsa di sua nonna dietro la camionetta?

"Innumerevoli. La prima volta al liceo: mi colpì e continua ancora a toccarmi. Ma tutto il film è doloroso: faccio fatica a rivederlo. Anche perché dopo ottant'anni Roma città aperta non ha perso nulla della sua potenza: lo dico da attrice e da spettatrice".

Leggenda vuole che la scena della corsa sia stata suggerita agli sceneggiatori Amidei e Fellini da quella, autentica, che sua nonna fece dietro la camionetta che portava al fronte suo nonno, Massimo Serato.

"Credo che sia andata proprio così. L'unico che potrebbe confermarlo è mio padre; ma a lui non ho mai osato chiederlo. Mio padre non parla mai della Magnani. Se vi è costretto lo fa con fastidio, e comunque sempre con pudore. Lui è cresciuto nel mito che tutti avevano di questa donna; ma il legame fra loro due era esclusivo, ed intensissimo; impossibile da spiegare agli altri. Perfino a me".

Da attrice come giudica la prova di sua nonna nel film?

"Fino a quel momento il nostro cinema aveva offerto volti di dive da regime: perfette, artificiali. Arriva quest'interprete fuori dai canoni: senza trucco, i capelli spettinati, la recitazione vera. L'effetto dovette essere dirompente".

Anche il suo personaggio, Pina, era agli antipodi di quelli consueti.

"Figuriamoci: una donna del popolo, incinta senza essere sposata, e già con un figlio. Personaggio modernissimo. E opposto alle fanciulle borghesi dei telefoni bianchi. Soprattutto perfetto per veicolare quelle istanze sociali che invece, ai ruoli prima del suo, erano del tutto estranee".

La lavorazione del film fu avventurosa. Per finanziarlo Rossellini visitava il Monte di Pietà; sul set portò i mobili di casa. Nulla lasciava presagire il capolavoro.

"Sì: al nord c'era ancora la guerra, e a Roma mancavano i soldi, l'elettricità, il cibo, tutto. La pellicola era di fortuna: scaduta e comperata al mercato nero. Il che spiega gli sbalzi della fotografia. Che però contribuirono al realismo del film. All'inizio non ebbe successo; ma poi vinse a Cannes e rese la Magnani celebre in Francia, in America e, da lì, in tutto il mondo".

Come definirebbe l'attrice Anna Magnani?

"Una montagna. Cui qualsiasi interprete me compresa- avrebbe difficoltà ad avvicinasi. Ma non una diva: stava dalla parte del pubblico. Grande nel drammatico come nel comico: la sua risata somigliava al suo pianto. Come le due facce della stessa medaglia. Quando vennero di moda le maggiorate lei cominciò ad interessare meno. E poi, a differenza di altre, la Magnani non si accompagnava ad alcun produttore".

Lei non l'ha mai conosciuta, ma ne ama il mito. Come giudica la donna?

"Mi fa

simpatia. E tenerezza, per le difficili vicende personali. Insieme ad Alessio Cremonini stiamo scrivendo la sceneggiatura di un film che la racconterà. Se sarò io ad interpretarla? Scherza? Non mi verrebbe neanche in mente!".

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