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Così il Pakistan fa il doppio gioco con gli Usa

Il Nord Waziristan è uno dei santuari del doppio gioco. Dai territori intorno al capoluogo di MiranSha e a Khost parte l’attentato suicida del gennaio 2008 al Serena Hotel, il più lussuoso albergo di Kabul, meta di tutte le delegazioni occidentali. Lì viene organizzato il tentato assassinio del presidente Karzai, messo a segno durante una parata militare nell’aprile 2008. Da lì viene coordinato l’attacco all’ambasciata indiana di Kabul costato la vita - nel luglio 2008 - a 58 persone. In tutte quelle operazioni attentatori suicidi, bombe e auto imbottite d’esplosivo vengono dispiegati seguendo schemi operativi precisi, capaci di moltiplicarne la letale efficacia. Jalalluddin Haqqani (un comandante afghano alleato dei talebani e signore del Waziristan ndr), uno dei primi ad accogliere tra le proprie file i combattenti arabi, è anche il primo ad utilizzare la tattica dell’attacco suicida, sconosciuta ed estranea alle abitudini afghane. La potenza dell’esplosivo usato, e la precisione degli inneschi chimici fanno molto spesso pensare ad un coinvolgimento di apparati militari vicini ai servizi segreti pakistani. Gli americani lo sanno da tempo, ma lo denunciano apertamente solo dopo l’attentato all’ambasciata indiana di Kabul, agosto 2008, dopo aver intercettato una telefonata tra un funzionario dell’Isi e gli uomini del clan Haqqani autori dell’attentato.
E non basta. «I funzionari americani parlano di nuove informazioni in grado di dimostrare come il servizio d’intelligence pakistano stia fornendo ai militanti sempre maggiori dettagli sulle campagne contro di loro, permettendo in alcuni casi di evitare i raid missilistici nelle aree tribali». Gli Usa a quel punto sono prigionieri di un puzzle complesso e intricato dove gli interessi nazionali del Pakistan e quelli della lotta al terrorismo spesso divergono. Un puzzle in cui neppure i pochi, alti ufficiali vicini a Washington sono disposti a sacrificare gli interessi nazionali a quelli dell’alleanza. Il capo di Stato maggiore, generale Ashfaq Khayani, punto di riferimento della strategia americana dopo l’uccisione di Benazir Bhutto, non fa eccezione. La trascrizione di un’intercettazione arrivata nel maggio del 2008 sul tavolo di Mike McConnel, Direttore della National Intelligence statunitense, rivela il contenuto di una telefonata in cui Khayani definisce Jalaluddin Haqqani e il suo clan un «assetto strategico» del Pakistan.
Khayani con quella frase rivela che la politica dell’Isi e dei militari pakistani non è cambiata nonostante gli accordi con gli Usa per combattere Al Qaida. Il clan Haqqani non va toccato perché consente di controllare alcune regioni chiave dell’Afghanistan e resta un importante alleato mentre ci si scontra con i capi talebani che minacciano la stabilità di altre zone della nazione. Conformemente a quella strategia l’offensiva militare lanciata nel 2008 e nel 2009 da Khayani si dispiega su tre fronti all’interno delle province nord occidentali e delle aree tribali, ma non tocca mai, nonostante le sollecitazioni americane, gli inviolabili territori del Nord Waziristan.
Alla fine del 2009 la questione si fa delicata. L’Amministrazione Obama è pronta a dispiegare a Khost e nelle altre zone di confine una quota consistente dei 30mila soldati destinati a rafforzare il contingente Nato e ad imprimere una sterzata alla guerra. Il Nord Waziristan, il santuario da cui gli insorti possono attaccare alle spalle gli americani, a quel punto rappresenta una spina nel fianco capace di compromettere la strategia di Washington. Le ripetute richieste americane non trovano però risposta. Cia e Pentagono rispondono intensificando i voli degli aerei senza pilota e rovesciando una pioggia di missili sparati dai drones in volo sopra il Nord Waziristan.
Dicembre è il mese più caldo con almeno cinque attacchi e decine di morti. La base di Chapman all’estremità di una delle vecchie piste dell’aeroporto di Khost, tre chilometri e mezzo a sud-est della città afghana, è uno dei centri di coordinamento degli attacchi. Lì opera la cellula Cia incaricata di raccogliere le informazioni provenienti dalla zona circostante, analizzare i filmati trasmessi dal cielo e individuare i possibili obbiettivi. Lì negli ultimi mesi sono state analizzate le informazioni che Al Balawi ha trasmesso giorno dopo giorno al capitano Sharif. Sono e-mail, fotografie, descrizioni particolareggiate e minuziose degli attacchi messi a segno dai Predator con numerosi particolari su danni e identità delle vittime. Racconti che possono provenire solo da qualcuno presente fisicamente in quella sorta d’Olimpo del terrorismo internazionale.
Quei rapporti contengono anche le reazioni, le parole, i discorsi di alcuni dei capi dell’organizzazione. Sono insomma il resoconto di una talpa insinuatasi nel cuore del territorio nemico.

Sarà Lady X, veterana Cia a capo della base di Chapman a condurre la caccia alla spia.

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