Scrivendo alla sorella Edvige, pochi giorni dopo il colpo di Stato del 25 luglio, Mussolini sosteneva di considerare ormai il fascismo «per tre quarti defunto». Il suo arresto e la mancata reazione dei suoi fedeli al repentino cambio di governo testimoniavano che il regime, che per venti anni aveva dominato lItalia, si era dissolto come neve al sole, senza lasciare alcuna eredità significativa. Di fronte a tanta catastrofe, il fascismo non poteva risorgere dalle ceneri. La Rsi non avrebbe costituito infatti che un fenomeno transitorio e accidentale. E il neofascismo, che di essa si dichiarava erede, si sarebbe limitato ad essere un semplice residuo del fascismo storico. Di conseguenza, anche il Movimento Sociale Italiano, il partito che aveva raccolto il testimone di quellesperienza, non aveva potuto sottrarsi al suo destino di marginalizzazione allinterno della politica italiana, risultando essere, solo, lespressione nostalgica di Salò.
Questo, in estrema sintesi, il giudizio storico che sul fascismo dopo Mussolini era stato formulato dallimportante volume di Pietro Ignazi (la prima opera scientifica sullargomento), pubblicata nel 1989 dal Mulino e significativamente intitolata Il polo escluso. Profilo storico del Movimento Sociale Italiano. Una tesi che viene ad essere oggi ribaltata dalla comparsa del documentatissimo studio di Giuseppe Parlato, Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo italiano, 1943-1948 (anchesso pubblicata dal Mulino, pagg.438, euro 25) Per Parlato, uno degli ultimi allievi di Renzo De Felice, che dal maestro ha ereditato un raffinato fiuto archivistico, laccantonamento istituzionale del neofascismo è ascrivibile infatti ad altra data. Non solo e non tanto, al 1960, quando lipotesi di un inserimento governativo del Msi scatenò la reazione dellantifascismo militante, quanto, piuttosto, al luglio 1947, quando la segreteria missina, guidata da Giorgio Almirante, decise di liquidare lipotesi di una grande destra atlantica e nazionale (aperta a cattolici, liberali, monarchici e persino ai «badogliani»), portata avanti da Pino Romualdi, per intercettare e dare rappresentanza, invece, al più palpitante vissuto degli orfani di Mussolini, composto dai rancori della guerra civile, dal ricordo delle epurazioni e dei massacri successivi al 25 aprile, soprattutto dallorgoglio di considerarsi «diversi» e «proscritti».
Nonostante la successiva correzione di rotta attuata da De Marsanich nel 1950, loperazione Almirante gettava alle ortiche il programma di alcuni settori del fascismo, che, tra 1944 e 1945, avevano cercato di sopravvivere alla loro imminente sconfitta, adoperandosi a stipulare unintesa con gli Alleati, il governo di Brindisi, il Vaticano, la massoneria, gruppi di ispirazione monarchica, taluni ambienti industriali e soprattutto la vastissima opinione pubblica moderata, al fine di costituire unalleanza in funzione anticomunista. Questo progetto non aveva avuto origine soltanto a Salò, ma era nato anche allinterno della rete di resistenza, che il fascismo aveva lasciato alle sue spalle incalzato dalla avanzata alleata. Utilizzato per azioni di propaganda, di piccolo sabotaggio e soprattutto di intelligence per conto della Wehrmacht, il fascismo clandestino entrava, dalla metà del 1944, in contatto con i servizi segreti statunitensi ma anche con alcuni settori del regio esercito, per costituire una struttura occulta, pronta a mobilitarsi per scongiurare un colpo di mano del Pci e per fronteggiare una invasione dellUrss e dei suoi alleati che premevano minacciosamente sui confini orientali. Questi rapporti si estendevano anche alla Decima Mas di Junio Valerio Borghese (della quale alcuni componenti, nel 1946, furono reclutati dallOss nel ruolo di istruttori del giovane esercito israeliano) ed assumevano una più decisa valenza politica grazie allattività di Romualdi, vicesegretario del Partito fascista repubblicano, che più di ogni altro sembrava intenzionato a porsi il problema del dopo, abbandonando ogni rigida pregiudiziale ideologica, anche a costo di trasformare il fascismo in una forza di destra conservatrice, sganciata dal programma socializzatore di Salò.
Non fu questa la sola strada attraverso cui il fascismo si proiettava nel futuro politico, italiano, creando una forte continuità di uomini e di mentalità tra Ventennio e Repubblica. Se lipotesi di Romualdi falliva, per riemergere vittoriosa solo dopo la «svolta di Fiuggi» del gennaio 1995, molti reduci del regime formavano, nel primissimo dopoguerra, i quadri delle organizzazioni sindacali cattoliche, socialiste, comuniste. Partito di lotta armata, privo di rapporti organici con la società, il Pci, dopo la liberazione, risultava del tutto sprovvisto di una struttura organizzativa che gli avrebbe consentito una radicamento di massa. Il mondo sindacale del fascismo regime e del fascismo di Salò fornì a questo progetto istituti, funzionari e dirigenti, che entreranno, a centinaia, nella Cgl di Di Vittorio. Dato, questo, che spiega molto bene il significato politico dellamnistia, nei confronti dei crimini fascisti, decretata da Togliatti nel 1946. Ma gli ex fascisti non furono ospitati solo da quella organizzazione. Lala più moderata transitò nella Cisl. Altri raggiunsero la Uil. La Coldiretti, fondata dal dirigente sindacale fascista Paolo Bonomi, ereditò la capillare struttura assistenziale e corporativa della Federazione nazionale fascista dei proprietari, affittuari e coltivatori diretti. Più semplicemente, molti militari della Rsi, internati fino alla fine del 1946, in veri e propri lager, venivano reclutati dalla Dc e dal Pci con la promessa di migliori condizioni di vita e di una rapida liberazione.
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