«Così la pesca sportiva rispetta la natura»

Mannaggia all’aggettivo.
Si sa, quando Vittorio Feltri parla, tutti lo ascoltano con attenzione. Pure i pescatori hanno pesato anche le virgole del suo intervento durante il convegno del maggio scorso sulla «Coscienza degli animali».
Il direttore è un animalista convinto. E in quell’occasione ha detto la sua sulla pesca spesso praticata in malo modo da grandi e piccini.
Feltri ha tratteggiato il pescatore dilettante che si diverte a imbrogliare il pesce infilandogli «una spada in bocca» per poi buttarlo in un cestino (o in un sacchetto di plastica) facendolo morire dopo una lenta agonia.
Una crudeltà intollerabile fatta per puro divertimento visto che spesso i pesci non finiscono in padella ma nel bidone della spazzatura.
E per restare in cucina, che dire delle aragoste scaraventate vive nell’acqua bollente, dopo essere state selezionate nell’acquario dal cliente goloso?
«Una pratica barbara» l’ha definita Feltri che, genericamente, si è scagliato contro chi pratica la pesca sportiva. Eccolo l’aggettivo di troppo. È successo il finimondo tra i pescatori con la P maiuscola.
«Il nostro è uno Sport che non può essere considerato crudele e intollerante» sbotta il professor Ugo Claudio Matteoli, Presidente della Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquee del Coni che conta 250 mila iscritti in tutta Italia.
Ma perché vi siete così arrabbiati?
«Noi pescatori non possiamo e non vogliamo essere associati ai cacciatori.
Io, come moltissimi iscritti alla Fipsas, non sono mai andato a caccia e talvolta non riesco a capirla. Può essere necessaria a volte, come nel caso della caccia di selezione, ad esempio per i cinghiali».
Anche con la pesca si uccidono degli animali.
«Non nella pesca sportiva. Nelle nostre competizioni i pesci vengono catturati e immediatamente liberati, dopo averli pesati e, talvolta, fotografati. C’è l’obbligo assoluto di rimettere nell’acqua il pesce vivo e vegeto, senza danni».
Ma a volte ci può scappare il morto.
«Se il pesce è danneggiato è prevista la squalifica».
Magra consolazione per il defunto pesce.
«Questi incidenti non succedono quasi mai. Abbiamo fatto studi di fattibilità per scegliere gli ami e i fili decomponibili. Anche il piombo non si usa più, ora c'è un materiale biodegradabile e non inquinante.
I pesci di grosse dimensioni vengono adagiati su materassini per evitare che si feriscano e ad ogni gara non mancano mai medicinali e giudici severi contro queste infrazioni. Noi non siamo mica tedeschi».
Che c’entrano i tedeschi?
«In Germania c’è l'obbligo di uccidere immediatamente il pesce pescato con uno spillone.
Noi non siamo d’accordo e così ci rifiutiamo di fare gare da loro: preferiamo il pesce vivo che speri di ripigliare alla gara successiva».
Cioè si fanno catturare una seconda volta?
"I pesci non sono stupidi, quando abboccano una volta è molto difficile che si avvicinino ancora. Poi ce ne sono alcuni di furbissimi che fanno letteralmente fessi i pescatori».
Come si chiama questa specie di pesce-volpe?
«Cavedano, è un pesce di acqua dolce. Tu butti una manciata di vermi in acqua, si avvicina un branco che mangia tutto tranne il verme legato all’amo: si accorgono che quel verme cade nell’acqua in modo diverso e lo evitano come la peste».
E i polpi?
«Quelli riescono anche a stappare una bottiglia per estrarre il cibo. Formidabili».
Lei parla dei pesci come dei compagni di avventura. Anche i pesci hanno una coscienza?
«Di certo una coscienza ce l’hanno i pescatori sportivi. Loro nutrono un grande rispetto per l'avversario. Non per niente siamo una associazione di protezione ambientale riconosciuta dal ministero dell'Ambiente».
Che significa questo riconoscimento?
«Siamo diventati "ufficialmente" delle sentinelle ambientali. Controlliamo i tratti di fiume o i laghi in cui peschiamo dato che sono i nostri “stadi”, segnaliamo la presenza di rifiuti, di scarichi industriali, di comportamenti illeciti.
Per esempio, abbiamo anche vinto una causa contro una grande ditta di acque minerali che scaricava abusivamente liquami inquinanti in un fiume.
Sul territorio nazionale, nell’ultimo anno le nostre 2000 guardie ittiche nelle migliaia e migliaia di uscite effettuate, hanno provveduto a segnalare 1500 casi di reati per danni ambientali. Nel 2010 abbiamo speso 450 mila euro per il ripopolamento dei fiumi e dei laghi».
Insomma, di solito non mangiate il pesce pescato, vi limitate a catturarlo per poi lasciarlo libero. Che gusto provate?
«Nei campionati è una sfida da superare, è bello andare sul podio e vincere. Pescare in mezzo la natura, invece, ti fa sentire libero. Alle quattro di mattina fermarsi su un torrente nel silenzio più assoluto è una sensazione unica nel mondo».
Come definirebbe la pesca sportiva?
«Una sfida tra l’uomo e il pesce. E non è divertente se finisce con la morte dell’avversario».
Però al mare qualcuno fa uno scempio di piccoli pesci ributtati in mare morti dopo averli tenuti sul molo per ore sotto il sole.
«Anche a me è capitato vedere delle scene che ti strappano il cuore. C'è mancanza di rispetto e una stupida mentalità diffusa che considera il mare terra di nessuno. Bisogna cambiare educazione e serve tempo.
Noi ci stiamo impegnando a diffondere il rispetto delle regole, soprattutto tra i giovani. Purtroppo, in particolare per la pesca in mare non esiste un codice deontologico. E noi stiamo lavorando, anche nelle sedi istituzionali competenti, per ottenerlo.


Ad esempio, sul Tonno rosso e sull’allarme estinzione specie, noi della Fipsas abbiamo lanciato la campagna “Un passaporto per il Tonno”, cioè in tutte le nostre gare, se catturato, lo rilasciamo obbligatoriamente».
Lei la mangia l’aragosta?
«Sì, ma sono contrario al modo crudele di cucinarla da viva. E non sopporto neppure gli acquari nei ristoranti. Proprio come Feltri».

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