Pierluigi Bonora
da Milano
Che ci potesse essere lo zampino di Luigi Koelliker, presidente del gruppo importatore omonimo, dietro il prossimo sbarco delle auto cinesi in Italia il sospetto era forte. È arcinoto, del resto, il fiuto dellimprenditore milanese capace di rilanciare attraverso la sua organizzazione marchi in difficoltà o semi-anonimi fino a trasformarli in veri business. Da alcuni anni Koelliker ha puntato lattenzione sulle aziende asiatiche. E a parte la giapponese Mitsubishi, che seppur alle prese con una profonda crisi resta il suo grande amore, le coreane Hyundai, Kia e da poco tempo anche Ssangyong sono le case che in questo momento gli stanno dando le maggiori soddisfazioni. Tra poco, dunque, toccherà alle automobili cinesi. «Che io guardi alla Cina è normale - afferma limprenditore al Giornale - lindustria di Pechino cresce rapidamente, come in passato era accaduto per quella di Tokio e di Seul. Chiaramente i cinesi sono possibili partner per il futuro».
Dottor Koelliker, ha già avviato contatti?
«I contatti sono in corso, anche se è ancora prematuro parlarne. Si è infatti ancora piuttosto lontani da unipotetica data, tra il 2007 e il 2008. In questo momento nessuno è pronto e non ci sono programmi di esportazione».
Quali sono i problemi che incontrano i costruttori cinesi?
«Prima di tutto il loro mercato assorbe ampiamente tutte le vetture prodotte. Non dimentichiamo, poi, che i modelli per lEuropa devono essere Euro 4 (lo standard relativo alla riduzione delle emissioni, ndr). Anche chi è intenzionato a esportare si è reso conto che potrà farlo dal 2007 in poi».
Intanto proprio in Italia la Faw, azienda cinese, ha delegato la DR Automobiles per compiere i test di omologazione su una piccola monovolume...
«Sono tutte vetture non ancora conformi agli standard attuali che è impossibile commercializzare. Sono tutti sogni...».
I marchi che entrano nel suo gruppo sono destinati al successo, anche se reduci da anni di difficoltà. Succederà così anche con le auto cinesi?
«Giapponesi e coreani producono veicoli di qualità elevata. La mia scelta è sempre stata orientata sulla vendita di prodotti di alta qualità a prezzi ragionevoli».
In Italia cè spazio per il nuovo business cinese e per vetture a basso prezzo, per esempio intorno a 4mila euro?
«Non credo alle auto a basso prezzo perché, nel momento in cui i costruttori cinesi allineeranno i loro prodotti agli standard europei, non costeranno sicuramente poco. Di sicuro quelli cinesi saranno modelli ottimi e di alta qualità. Quindi, per me, le auto cinesi saranno interessanti più per la qualità che per il listino».
Quando, tra qualche anno, comincerà a importare dalla Cina non teme che si possano creare problemi di rivalità allinterno del suo gruppo, soprattutto con le marche coreane?
«Quando arriva un concorrente nuovo qualcosa viene tolto a tutti. Ma se non lo faccio io, lo farà qualcun altro».
A guardare alla Cina ci sono altri gruppi del settore che si occupano di import?
«Tantissimi in Europa».
E in Italia?
«Non lo so e non mi interessa. Non ho molti concorrenti».
Si fanno tanti nomi sui possibili partner del gruppo Koelliker: Chery, Faw, Shangai. Con chi ha preso contatti?
«Hanno tutti programmi programmi simili e, in proposito, hanno affidato la realizzazione di loro prototipi ai maggiori stilisti italiani. Ma bisogna fare i conti anche con un mercato non libero come quello di Pechino, dove è il governo a indirizzare i capitali delle aziende».
Quindi?
«Il mio è un progetto a 5 anni, come minimo».
Ritiene che, in futuro, i colossi dellauto cinesi possano produrre proprio in Italia, magari rilevando uno o più impianti da Fiat Auto?
«Sicuramente no. In questo momento i cinesi sono più interessati a produrre per il loro mercato. Non è immaginabile, per ora, che pensino a produrre fuori dai loro confini».
Ma allora cosa li alletta?
«Magari alcuni marchi occidentali, per poter vendere sui mercati europei le loro vetture con loghi conosciuti».
Quante auto cinesi si potrebbero vendere in Italia?
«Le potenzialità sono infinite. Sono talmente care le auto in generale che quando si riesce a venderle al 20-30% in meno, è possibile collocarne davvero tante. Molti abbandonano lauto perché non se la possono più permettere. Più che a un mercato di conquista penserei a un mercato completamente nuovo».
Quale strategia seguono le case di Pechino?
«Il loro riferimento sono soprattutto i coreani».
Per ospitare il partner cinese pensa di rinunciare a uno dei suoi attuali marchi?
«Non rinuncio mai a nulla».
Le costerà molto lavventura cinese?
«Non penso, anche se è chiaro che oltre ai soldi ci vogliono esperienza e professionalità».
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