Così vorrebbero ammazzare Malpensa

Tra gli ispiratori Maurizio Basile (Adr) oggi candidato a sostituire l’ad

Paolo Stefanato

da Milano

Cresce il pressing romano sull’Alitalia, contro Malpensa e a favore di Fiumicino. Un vecchio braccio di ferro che torna d’attualità, dopo anni di sostanziale convivenza pacifica, spinto dalle emergenze della compagnia, che possono indurre a decisioni radicali: contrasto che ora si lega alle ipotesi di sostituzione di Giancarlo Cimoli e che ha per sfondo, come già nel passato, la concorrenza tra Adr (Aeroporti di Roma) e Sea (Milano). Alitalia è il principale vettore nazionale, e il trasporto aereo ha un suo principio: non c’è un grande aeroporto senza una grande compagnia di riferimento, come non c’è una grande compagnia senza un grande aeroporto. Veltroni (sindaco di Roma), Rutelli (ex sindaco e vicepresidente del Consiglio), Marrazzo (presidente della Regione Lazio), ieri persino Gasbarra (presidente della Provincia di Roma) si sono in qualche modo spesi a favore di Fiumicino. Tutti e quattro sono espressioni della maggioranza di governo. Milano e la Lombardia sono di colore opposto.
Alla sua apertura Malpensa, nel 1998, fu messa in difficoltà e poi ridimensionata da cinque decreti che, smentendosi l’uno con l’altro, spuntarono la sua forza come grande aeroporto hub (di smistamento di traffico). Anche i governi di allora erano a maggioranza di sinistra. L’unico decreto che tuttora, a quasi dieci anni di distanza, gli esperti concordano a ritenere economicamente funzionale, era il primo: quello firmato dal ministro Burlando che prevedeva - diciamolo in parole povere - la concentrazione di tutto il traffico milanese su Malpensa, tranne la navetta Milano-Roma, che sarebbe rimasta a Linate. Poi si scatenarono le lobby e si assistette ad alleanze indedite (parte di Milano con Roma, parte della destra con la sinistra) tese da un lato a favorire le compagnie straniere, ma soprattutto a difendere la (miope) comodità di un aeroporto urbano come Linate. Su Malpensa da anni l’Alitalia, rispettando indicazioni governative più che decennali, puntava tutto: sarebbe diventata di gran lunga la sua base principale. Roma non lo permise. E i compromessi che ne scaturirono furono la prima causa della crisi dalla quale la compagnia (che allora era stata risanata e stava acquistando Klm: alleanza rotta a causa di Malpensa) non si è più risollevata.
Il piano Cimoli ha confermato l’importanza di Malpensa, che resta la base della maggior parte dei voli intercontinentali: ma tuttora - ecco i compromessi e gli sprechi - il personale arriva in gran parte da Roma. Ma Giancarlo Cimoli, che ha messo profondamente mano alla struttura societaria della compagnia, non ha centrato nei tempi previsti l’obiettivo del risanamento. La sua poltrona oggi è più precaria che in passato, ed è questa l’occasione per l’affondo che si sta infiammando in questi giorni.
A chi, più di altri, gioverebbe il «revival» di Fiumicino? Agli azionisti di Aeroporti di Roma (in particolare Gemina, e cioè famiglie Romiti, Benetton e fondo Clessidra) che da un «ritorno» dell’Alitalia vedrebbero valorizzarsi in maniera straordinaria il loro investimento. Adr sta persino acquistando dall’Alitalia importanti terreni limitrofi all’aeroporto, dando respiro anche a un suo «indirizzo» immobiliare, confermato, indirettamente, dalla cessione dell’handling (i servizi aeroportuali di terra).
Esiste un piano di riconcentrazione dell’Alitalia su Fiumicino, e chi l’ha letto lo definisce «affascinante», perché «fatto bene, in grado di accontentare molti». Ma che fa molti passi indietro e annulla le strategie di sviluppo basate sul ricco traffico del Nord. Il piano fu messo in cantiere a metà del 2005, e infatti - come forse si ricorderà - nell’autunno successivo Cimoli fu oggetto di un’offensiva pesantissima, che ebbe ampia eco sui giornali: fu «salvato» in extremis, grazie alle sue forti alleanze di potere. Il piano prevedeva il ritorno a Fiumicino della base della flotta di lungo raggio, lasciando a Malpensa solo i collegamenti con New York e Tokio. Per servire un network ridimensionato, erano ritenuti sufficienti una ventina aerei, dei 23 (passeggeri) a lungo raggio; alcuni si sarebbero resi disponibili per un’eventuale cessione (per esempio i tre B767 di proprietà), con una cospicua entrata straordinaria. I costi operativi si sarebbero nettamente ridimensionati, favorendo una politica di risanamento. I sindacati avrebbero accolto con grande favore un disegno che tranquillizzava gli oltre ventimila dipendenti del gruppo, concetrati nel Lazio, dove l’Alitalia è l’industria più grande. Roma e i romani, infine, avrebbero esultato per il ritorno nella capitale dei servizi di quella che tuttora molti chiamano (dimenticando che il monopolio è caduto) la «compagnia di bandiera». Infine, questo disegno non avrebbe contrastato con la linea dell’integrazione con Air France, visto che avrebbe riassestato i conti dell’Alitalia e sottratto dalle trattative lo scalo di Malpensa, che costituisce un elemento «scomodo». E Milano? E il Nord? Ecco i veri sconfitti, insieme alle ambizioni dell’Alitalia: per loro era previsto qualche lenitivo. Per esempio, un’alleanza con Eurofly, che oggi ha quattro velivoli di lungo raggio, e/o con altri vettori charter.
Chi aveva scritto questo piano «affascinante»? Gli ispiratori sarebbero stati Gianni Sebastiani, ex direttore generale dell’Alitalia, insieme a Maurizio Basile, ex direttore Pianificazione e controllo strategico della compagnia.

Il primo esperto di trasporto aereo, il secondo di finanza; entrambi molto stimati. Basile dall’aprile scorso è amministratore delegato di Aeroporti di Roma e oggi è il più nominato tra i possibili successori di Cimoli. Il suo piano sembra essere proprio questo.

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