È raffreddato, ha linfluenza e parla da ore, mezzo afono comè. Dal quartier generale allOstiense, dove ha sede la sua casa di produzione «Motorino Amaranto», Paolo Virzì tiene botta al cancan mediatico che lo subissa da quando lAnica, la Confindustria dei cinematografari, lha messo nel Gotha dei registi internazionali. Infatti è la sua commedia agrodolce La prima cosa bella il film italiano scelto per correre verso lOscar (ammesso che lAcademy Award lo includa, nel prossimo gennaio, tra i cinque candidati alla statuetta). Lultima vittoria italiana, nel 1998, fu di Roberto Benigni con La vita è bella. Se ne va allAmerica, insomma, il regista siculo-labronico, che questanno ha avuto il figlio Jacopo da Micaela Ramazzotti. Annata fortunata, allora? «Cominciamo adesso il cammino con il nostro film. È un buon auspicio che sia nel mio film sia in quello di Benigni compaia laggettivo bella. Poi in comune tra i due film cè la Toscana. Certo, il capolavoro di Roberto concorreva a tutte le categorie, candidato dalla Miramax», precisa Virzì.
Sta di fatto che ieri mattina, nella sede dellAnica dove, alla presenza dun notaio,la commissione designata (il regista Gabriele Salvatores, lo scenografo Dante Ferretti, i giornalisti Gloria Satta, Alessandra Levatesi, Alberto Crespi e Roberto Escobar; i produttori Conchita Airoldi, Angelo Barbagallo, Aurelio De Laurentiis, Adriano de Micheli, Mario Gianani e Fulvio Lucisano, nonché i distributori Paolo Ferrari e Andrea Occhipinti, insieme al Direttore Generale per il Cinema, Nicola Morelli) esaminava i concorrenti, la scelta è caduta sul titolo più forte del 2010. Il film che inizia la corsa per lOscar è stato un successo al botteghino e ha incassato sette milioni e seicentomila euro («ma i dati definitivi della Siae arrivano a gennaio»: il regista corregge con un pizzico dorgoglio i dati Cinetel, calcolati col venti per cento in meno). Segno che la commedia allitaliana, ovvero il genere dei generi, resta vincente? «Certo il mio film corrisponde a un identikit di film italiano, che gli americani hanno voglia di vedere. Italian Style, dicono
E dicono una cosa precisa: quella mescolanza di dramma e di commedia, labbiamo inventata noi. E lo abbiamo insegnato al mondo. Persino gli americani, dopo aver appreso la formula, adesso cominciano ad applicarla. E allora, perché non essere orgogliosi? Siamo proprio noi italiani i peggiori nemici di noi stessi: non abbiamo fiducia nei nostri attori,nei nostri registi, nei nostri talenti», si rammarica Virzì.
Magari, proprio il fatto che dalla toccante vicenda di Bruno (Valerio Mastandrea), misantropo professore prima in lite con la vita, poi in pace con essa solo al capezzale della madre morente (Stefania Sandrelli), la politica sia assente stavolta ha giovato? «Non saprei. Ho sempre cercato di affrontare le questioni della società, passando per la vita delle persone: i volantini non mi sono mai interessati. Da cittadino sensibile e attento, sì, seguo le vicende politiche e ho le mie idee. Ma da autore di racconti, mi piace non avere pregiudizi. Tantè vero che lanno scorso, quando Medusa aveva indicato il mio Tutta la vita davanti per lOscar, io alla commissione dissi di non votare per me». Davvero singolare, è noto che si fa a botte per sostenere un titolo
«Li sconsigliai perché il tema del film era la precarietà del lavoro: qualcosa a cui, in America, sono abituati da sempre. Per loro non è un dramma. Mi permisi di esprimere i miei auspici per Il Divo e Gomorra: in quel caso, la politica italiana non era un limite».
Da oggi Virzì si piazza a Los Angeles,insieme alla moglie Micaela («si sente come Tanino nel mio film: lei non è mai stata in America») mentre, tra proiezioni e incontri con i distributori, si cercherà la strategia adatta per arrivare in finale.
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