Politica

Cossutta, 30mila euro da «Dago» grazie a una sentenza bulgara

Trentamila denari al compagno Cossutta. Diconsi trentamila, di euro, da sborsare a titolo di risarcimento (rispetto al milione inizialmente richiesto dal buon Armando) perché l’autore della diffamazione ha tradito il diritto di cronaca, ha tradito quello di critica e ha tradito pure l’«interesse pubblico della notizia» riportandone una, di notizia, scritta da altri che non sono stati nemmeno querelati dal vecchio esponente comunista. Il giuda in questione è quel genio di Roberto D’Agostino, guru del sito Dagospia e del gossip politico-economico, colpevole d’aver ripreso e rilanciato i contenuti del libro Sofia 1973, Berlinguer deve morire, scritto da Giovanni Fasanella e Corrado Incerti, nel quale s’ipotizza che il misterioso incidente stradale in cui rimase coinvolto il segretario del Pci in Bulgaria fu piuttosto un attentato, realizzato dagli 007 locali eterodiretti da Mosca. Tesi rilanciata negli anni (e nel libro) da giornalisti e storici, da politici e magistrati citati come testi da D’Agostino ma «rifiutati» dal giudice.
Cossutta se l’è presa con D’Agostino perché avrebbe in qualche modo lasciato intendere che ci fosse stato il suo zampino su quell’attentato che - in caso di morte del segretario - gli avrebbe garantito la poltrona di successore di Enrico Berlinguer. Se l’è presa tanto anche perché D’Agostino, riprendendo il libro, ha riportato un fatto sgradevole forse, ma storicamente vero: e cioè che di ritorno dalla Bulgaria, scampato all’incidente/attentato, Berlinguer convocò il partito e destituì immediatamente Cossutta dalla segreteria sulla falsariga di quanto anni prima fece Togliatti che silurò Secchia dopo esser sopravvissuto a un altro, oscuro, sinistro stradale. Cossutta, infine, se l’è presa pure perché «Dago» ha riproposto l’interrogativo di sempre, sul perché di quel suo viaggio in Bulgaria, due mesi prima dell’incidente-attentato, quando tra Berlinguer e il partito comunista di Sofia vi erano serissimi contrasti. D’Agostino s’è difeso coi denti. Ha smentito d’aver avanzato la tesi della partecipazione di Cossutta, diretta o indiretta, all’incidente. Ha ribadito d’aver rilanciato sul sito circostanze e fatti riportati nel libro di Fasanella e Incerti, che a suo dire sono storicamente e documentalmente accertati. Ha sollevato dubbi e interrogativi già sollevati in precedenza anche da uomini di partito vicini al leader comunista italiano più accreditato al Cremlino. Ha sciorinato - nella sua comparsa al giudice - tutta una serie di prove estratte dall’Istituto Gramsci e dall’archivio storico del Pci dalle quali trasparivano non solo «i gravi dissidi fra Cossutta e Berlinguer in ordine alla collocazione internazionale del Pci e all’autonomia politica rispetto al Pcus» ma anche «le insistenze di Cossutta con Berlinguer affinché quest’ultimo abbandonasse le resistenze e accettasse l’invito dei compagni di Sofia a recarsi in Bulgaria».
Per questo motivo Roberto D’Agostino aveva chiesto al giudice di ascoltare numerosi testimoni, custodi di verità storiche e politiche a suo dire incontestabili, ma egualmente contestate da Cossutta. Il giudice, però, ha giudicato ininfluente la sfilata dei testimoni rinunciando a sentirli in blocco. Eppure, non solo ai fini della querela, sarebbe stato interessante ascoltare la vedova di Berlinguer, Letizia (citata come teste) che in un’intervista all’Unità squarciò il muro d’apparato e d’omertà parlando coraggiosamente di «attentato» al marito. Sarebbe stato forse opportuno sentire Giovanni Pellegrino (citato pure lui), ex Pds-Ds e già presidente della commissione Stragi, che in un libro raccontò di quando Berlinguer «era a Sofia, in un letto d’ospedale per le ferite riportate in un gravissimo incidente stradale (...)». Pellegrino fu categorico: «Non fu un incidente, probabilmente fu un attentato degli 007 bulgari su mandato sovietico. E quando nel 1991 il senatore Emanuele Macaluso (altro testimone citato, ndr) rivelò la notizia su Panorama - continua Pellegrino - reagii con scetticismo come molti dirigenti del Pci. Poi, però, a favore di Macaluso intervenne la moglie di Berlinguer, donna di grandissima delicatezza, e mi convinsi che Macaluso aveva ragione. E qualche anno più tardi, quando ho potuto leggere il dossier Mitrokhin sul Kgb, ho capito quanto i sovietici temessero Berlinguer e la sua politica». Non temevano invece Cossutta, che nel medesimo dossier, report 132, veniva definito «contatto confidenziale del Kgb». Questo riferimento documentale dei servizi segreti russi, Dagospia lo può riportare senza timore di smentita.

E di querela.

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