IL COSTITUZIONALISTA GIOVANNI PITRUZZELLA

«Una legge elettorale con il doppio turno darebbe ai piccoli partiti un potere negoziale enorme perché sarebbe necessario un accordo per vincere le elezioni. Meglio premiare i partiti con un consenso più elevato». Giovanni Pitruzzella è ordinario di Diritto costituzionale alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo. È stato consulente giuridico a Palazzo Chigi dei governi di centrosinistra guidati da Romano Prodi, Giuliano Amato e Lamberto Dini ma l’idea lanciata dal presidente della Camera Gianfranco Fini del doppio turno, tanto cara alla sinistra già dai tempi della Bicamerale, lo «terrorizza» letteralmente.
C’è il rischio di tornare alla Prima Repubblica?
«Proprio così. Il mio terrore è che in vista del secondo turno si creino delle coalizioni molto eterogenee e litigiose...».
Lei ha lavorato con Prodi e quindi sa cosa vuol dire...
«Ma anche con Berlusconi. La Seconda Repubblica la conosco bene».
Il Cavaliere vuole una repubblica semipresidenziale per dare più poteri al premier. Può funzionare?
«Il funzionamento del sistema deriva dall’interazione tra la dinamica politica e l’assetto istituzionale che va calato sulla realtà di un Paese. Escludo l’idea di certi ingegneri istituzionali di un qualsivoglia modello intrinsecamente perfetto. E in effetti...».
Scusi se la interrompo. Ma le riforme istituzionali servono?
«Servono, ma serve soprattutto una cultura politica. Dobbiamo escludere l’idea che con qualche marchingegno si possano garantire efficienza e governabilità. Se la cultura politica favorisce il conflitto, la lotta politica e la demonizzazione dell’avversario non ci sono riforme che tengano».
È questo il nostro limite?
«C’è un eccesso di eterogeneità e di litigiosità dentro le coalizioni. Meglio premiare i partiti grandi ed evitare le negoziazioni esasperate. Ecco perché bisogna stare bene attenti a mettere mano alla legge elettorale».
Qual è il rischio?
«Non si possono cambiare sempre le regole, altrimenti si apre una perenne fase di metabolizzazione».
Che fa, difende il Porcellum?
«Il sistema elettorale attuale garantisce due esigenze contrapposte come la governabilità e la rappresentatività perché prevede un premio di maggioranza numericamente esteso e uno spazio per la minoranza. È il male minore di un sistema imperfetto come la democrazia».
Però il Porcellum ha lasciato fuori tanti partiti...
«Non ritengo che la presenza dei partiti piccoli nelle aule parlamentari sia indice di democraticità. Anche Giovanni Sartori e Augusto Barbera si sono detti favorevoli a un meccanismo elettorale “selettivo”, anti frammentazione. Con troppi partiti non c’è governabilità. E se un governo non decide, dov’è la democrazia?».
Sembra di sentire il premier quando dice che non ha potere. È vero?
«Implicitamente fa riferimento alle lungaggini eccessive nel processo decisionale del Parlamento. Già il compianto maestro Marcello Fois era furioso per l’abuso di decreti legge come rimedio alla lentezza delle Camere. Bisogna superare il bicameralismo attuale ma senza mortificare il Parlamento».
Come?
«Dando diverse competenze alle due Camere e creando un processo decisionale veloce, salvo per alcune materie sensibili come ad esempio la riforma costituzionale».
E senza cambiare la legge elettorale come dice Fini...
«Temo che se poniamo questo punto all’ordine del giorno non ci sarà alcuna riforma istituzionale perché le divisioni e i tatticismi trasversali ai partiti avrebbero la meglio».
Semipresidenzialismo e Porcellum. Sembra disegnato su Berlusconi...


«Invece è un sistema che potrebbe servire anche oltre, per chiunque verrà, di centrodestra o centrosinistra».
Domandina finale. Ci sono le condizioni?
«Su molte cose c’è accordo. Questi tre anni saranno il banco di prova per valutare la responsabilità della classe politica».
felice.manti@ilgiornale.it

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