Cosulich, un secolo al timone

Una mostra a Monfalcone celebra i cent’anni dei cantieri navali cittadini che hanno varato ben settecento imbarcazioni e che oggi sono leader mondiale per quelle da crociera

nostro inviato a Monfalcone
In bacino c’è questa città galleggiante di 113mila tonnellate, Ruby Princess è il suo nome, il cui varo è previsto in autunno. È una bella giornata di sole, tecnici e operai si sono dispersi per la pausa pranzo e in una solitudine fatta di gabbiani una nave così intimidisce e rende ancora di più un giocattolo il porticciolo turistico che si vede in lontananza.
I cantieri di Monfalcone festeggiano il loro secolo di vita e la mostra organizzata per ricordarli, è una specie di cavalcata tecnica e romantica, giustamente orgogliosa dei risultati raggiunti, ma per nulla trionfalistica nel suo raccontare anche le difficoltà, i cambi di rotta voluti e subiti, la lunga crisi. Oggi lo stabilimento si chiama Fincantieri, è leader mondiale nella costruzione di navi da crociera, ha una superficie di 750mila metri quadri, di cui un quarto coperti, 5mila lavoratori occupati fra interni ed esterni per una città che ha 27mila abitanti. Quando nacque si chiamava Cantiere Navale Triestino, ma per tutti era il Cantiere Cosulich, due fratelli, Callisto e Alberto, per una dinastia di famiglia.
Nella Galleria d’arte contemporanea di Monfalcone, le rassegne «Vito Timmel. Il teatro di Panzano» e «Tranquillo Marangoni. Un artista in cantiere» permettono di ammirare tele, bozzetti, disegni e progetti con cui fra le due guerre e poi nel secondo dopoguerra vennero arricchite le navi della flotta, la turbonave Oceania, i transatlantici Guglielmo Marconi, Giulio Cesare... Negli spazi interni di quella del centenario, dal significativo titolo «Cantiere 100», modelli, fotografie, cimeli, prototipi e contributi filmati ricostruiscono in quattro sezioni il senso e la storia di una esperienza che a buona ragione può definirsi epocale.
I Cosulich, dunque, e bene ha fatto Massimo Greco, assessore alla Cultura del Comune di Trieste, a programmare per il prossimo ottobre, nel bellissimo Museo del Mare, una rassegna incentrata su questa grande famiglia, più ampia rispetto a quella fotografica ora ospitata al Palazzetto Veneto di Monfalcone. Perché gli elementi imprenditoriali da un lato, giuliani dall’altro presenti nei Cosulich concorrono a disegnare un profilo d’eccezione per modernità, dinamismo, passione civile.
All’alba del Novecento, Monfalcone faceva 4mila abitanti, la pesca e l’agricoltura come uniche fonti di reddito. Sudditi dell’impero austroungarico, Trieste e i Cosulich si ritrovarono italiani all’indomani della Grande guerra, e negli anni Venti, nel tempo delle motonavi, il cantiere che quest’ultimi hanno creato nel 1908 è già all’avanguardia. Saturnia e Vulcania sono i primi due gioielli della flotta che conta ventiquattro navi ed è uno dei più grandi complessi armatoriali e finanziari d’Europa. Nella baia di Panzano viene completato il primo villaggio operaio, una mini città completa di bagni popolari, albergo per impiegati e per operai, teatro, biblioteca e campo sportivo.
Il destino sembra quasi divertirsi con i Cosulich, regalando loro trionfi e rovesci. Oscar, figlio di Callisto e marinaio provetto, si butta in acqua per salvare il primogenito, caduto in mare dall’Argo, il cutter di famiglia. Quando si riesce ad issarli a bordo, il cuore del padre si ferma. Nel 1927 Alberto, uno dei due fratelli fondatori, muore improvvisamente. Venti anni dopo sarà la volta di Augusto, l’altro figlio di Callisto... Ma intanto c’è già stata la crisi economica del ’29, l’inserimento nella società della Banca commerciale italiana e del Lloyd Sabaudo, la trasformazione in cantiere militare per le esigenze belliche, l’esperienza come officina aeronautica...
Al primo cinquantennio nel nome dei Cosulich la mostra dedica due sezioni in cui si mischiano le intuizioni di chi da pioniere della navigazione a vela si fa convinto assertore di quella a vapore e i contraccolpi della storia che trasformano il porto commerciale per eccellenza di un impero in uno dei porti di un regno la cui dimensione mediterranea fa soffrire la componente adriatica dello stesso.
Nelle due successive e rimanenti c’è lo spazio per la decadenza e la resurrezione. Ancora negli anni Sessanta le prime navi di grandi dimensioni adibite alla crociera, l’Oceanic, l’Eugenio C., permettono di illudersi, ma le super-cisterne della metà del decennio già testimoniano una crisi di strategia nel nome di un’effimera diversificazione. La crisi energetica dei Settanta e la riapertura del Canale di Suez gettano la cantieristica italiana in generale e Monfalcone in particolare in una crisi che la cassa integrazione per più della metà degli allora 4mila dipendenti rende a lungo amara e quasi senza speranza.
Dalla metà degli anni Ottanta, con il passaggio dalla Italcantieri alla Fincantieri, cominciano i primi flebili segni di ripresa: c’è una concentrazione societaria, si fa appello a un patrimonio di conoscenze tecniche aziendali, si persegue una specializzazione, si affina e si innova un modello produttivo che a partire dagli anni Novanta porterà ai livelli di eccellenza odierni.


Settecento navi varate in un secolo di storia. Anche nei numeri, a saperli leggere, c’è spazio per l’epopea.

Per informazioni sulle mostre, aperte sino al 15 giugno: 0481494369; galleria@comune.monfalcone.go.it; www.viveredicantiere.it.

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