La nautica, che secondo lo studio della Fondazione Edison rappresenta la quinta forza trainante dellexport italiano, è letteralmente compressa sul mercato interno. E non solo dalla mancanza di infrastrutture. Anche le differenze normative, determinate dal passaggio della competenza sulle concessioni demaniali alle Regioni (e da alcune di esse devoluta ai Comuni), rappresentano un grave limite. In questo senso il cosiddetto «federalismo demaniale», cioè il definitivo conferimento delle coste alle autonomie (e dei beni su di esse ubicati), può essere la chiave di volta per risolvere il gap che ci separa dagli Stati che ci fanno concorrenza nel Mediterraneo: Francia, Spagna, Croazia e ora Turchia, Tunisia, Montenegro.
Linteresse non è solo quello - legittimo - degli imprenditori che vorrebbero competere almeno alla pari con i colleghi dei Paesi del Mediterraneo, ma quello dellintera Nazione: qualunque studio economico dimostra infatti come i beni demaniali marittimi destinati alla nautica da diporto offrono il miglior moltiplicatore del reddito e delloccupazione anche rispetto a tutti gli altri settori del cluster marittimo (dati Censis, Bain & Co, Osservatorio Nautico Nazionale). Lo stesso schema di decreto legislativo sul federalismo demaniale stabilisce che lente territoriale è tenuto a favorire «la massima valorizzazione del bene nellinteresse della collettività». Quindi, la nautica è la soluzione.
Secondo uno studio di Ucina-Confindustria Nautica si possono ricavare 40mila posti barca semplicemente razionalizzando gli spazi sottoutilizzati nei bacini commerciali esistenti. Si tratta di attivare risorse - private - per 1 miliardo di euro e anche 10mila posti di lavoro nellindotto. Il numero dei posti barca può essere ulteriormente aumentato destinando allormeggio a secco una di parte dei piazzali, degli scivoli e delle strutture fronte-mare che costituiscono il demanio marittimo.
Molti di questi beni erano già censiti dal dpcm 21 dicembre 1995, il quale elencava i beni del demanio marittimo inizialmente rimasti allo Stato in occasione del primo trasferimento di funzioni amministrative alle Regioni. Oggi le autonomie potrebbero decidere che una quota parte di queste strutture vadano destinate prioritariamente alluso nautico, recuperando spazi a mare per la grande nautica e consentendo ormeggi a costi contenuti per la nautica sociale. In America si fa da 30 anni... Il trasferimento alle autonomie, infine, può essere loccasione per definire la la spinosa questione dei canoni demaniali, che la Finanziaria 2007 moltiplicò fino a 10 volte. Allora, con un evidente errore concettuale, forsanche ideologico, i porti furono assimilati agli stabilimenti balneari, i cui costi di realizzazione sono evidentemente ben diversi.
Questo ha in parte bloccato gli investimenti, senza portare un euro nelle casse dello Stato perché tutte le imprese hanno fatto ricorso. Infatti, secondo Ucina, gli aumenti hanno riguardato - fatto illegittimo - i contratti in essere e non solo quelli a venire. Laumento, infatti, si abbatte retroattivamente sulle opere già realizzate, facendo saltare i business plan. Anche per questo i ricorsi cominciano a trovare accoglimento. Inoltre il nuovo meccanismo in vigore dal 2007 punisce, penalizzandolo con maggiori oneri, chi realizza strutture più importanti, che, va ricordato, allo scadere della concessione tornano in mano pubblica. Esattamente contro quella che dovrebbe essere una logica di incentivi rispetto a chi investe maggiormente. Il federalismo demaniale può dunque essere unopportunità, ma anche un ulteriore limite. Ucina-Confindustria Nautica, tra laltro, è preoccupata dalla modalità adottata per il trasferimento dei beni, che prevede una parcellizzazione e anche una certa concorrenza fra Regioni, Province e Comuni. Questo è assolutamente controproducente e dannoso per la gestione del mare che, per sua natura, ha bisogno di un progetto unitario.
* Presidente Ucina
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