Cronaca locale

La crisi argentina al Crt

Fino a sabato «Mujeres sonaron caballos»

Miriam D’Ambrosio

Una miscela di sangue calabrese e veneziano e una patria devastata e forte, capace di rinascere ogni volta dalle ceneri, come la mitica fenice. Rinascere con l’arte. Danza, musica o teatro che sia. Daniel Veronese, marionettista, attore, regista e drammaturgo, è un cocktail italiano, una fusione tra sud e nord, nato e cresciuto in Argentina, un luogo di lacerazioni. Veronese è un uomo di teatro che sul palco unisce la concretezza e la visionarietà, coniugando il lirismo con il grottesco e indugiando in affondo psicologici che aprono squarci sul mondo interiore dei personaggi.
Da questa sera a sabato, al Crt Teatro dell’Arte arriva un suo spettacolo (suoi testo e regia) chiamato Mujeres sonaron caballos, ospite del Festival «La fabbrica dell’uomo. Nuovi scenari dal mondo del lavoro» organizzato dall’Outis (Centro Nazionale di drammaturgia contemporanea).
In un’ora e dieci minuti di spettacolo, il pubblico conosce «una famiglia, tre fratelli con le loro rispettive donne, e la violenza interna ai rapporti familiari - racconta Daniel Veronese -, violenza che corrisponde a quella dello Stato che scuote la società argentina». Sei personaggi, una casa, un pranzo che è occasione di incontro e poi di scontro. Cibo che non sarà mai consumato. Uno dei fratelli ha invitato gli altri per comunicare la definitiva chiusura dell’impresa di famiglia. La notizia darà inizio a un conflitto terribile, dove il privato e il pubblico si intrecciano narrati con ritmo sostenuto, asciutto, ambientati in una dimensione claustrofobica, «una piccola scena dove non c’è grande possibilità di movimento - dice Daniel - e dove si avverte un futuro incerto, tragico, instabile. E la decadenza è imperante».
«Mujeres sonaron caballos» ha debuttato a Buenos Aires prima del dicembre 2001, mese in cui la crisi argentina fu visibile al mondo. «Il pubblico partecipò intensamente, anche fisicamente, essendo a contatto con gli attori - commenta Veronese - la gente si è sentita parte di questa famiglia che è metafora della nostra Argentina.

In questo spazio angusto è tutto verosimile, semplice, anche gli abiti ».

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