Crisi in Regione, Cè rimesso al suo posto

Marcello Chirico

La cena del «giudizio» è terminata a notte inoltrata, con tutti i «commensali» rigorosamente in silenzio sull’esito finale. Esito su cui dovrebbe relazionare oggi in prima persona il governatore lombardo Roberto Formigoni al termine della riunione della giunta, convocata per stamane al Pirellone.
La discussione tra il premier Silvio Berlusconi, il leader del Carroccio Umberto Bossi, il governatore Roberto Formigoni, i ministri leghisti Roberto Calderoli, Roberto Maroni e Roberto Castelli, il segretario federale dei lùmbard Giarcarlo Giorgetti, la coordinatrice lombarda di Forza Italia Mariastella Gelmini, il ministro azzurro Giuliano Urbani e il sottosegretario forzista Aldo Brancher si è protratta per le lunghe poiché i temi nazionali si sono mischiati a quelli locali. Del resto, c’era da aspettarselo: la nuova legge elettorale e la riforma del tfr sono, al momento, al centro del dibattito politico romano tra i partiti di maggioranza. Soprattutto tra Forza Italia e Lega. Così come la crisi regionale è al centro dei problemi locali.
Dall’esito del confronto conviviale sulle tematiche di governo sono dipese, inevitabilmente, pure quelle lombarde. Per un motivo semplicissimo: un disco-verde del Carroccio alle due leggi di cui sopra, che tanto stanno a cuore a Berlusconi, implicherebbe necessariamente la concessione da parte del premier di ciò che la Lega chiede in Regione. Ovvero, quel superassessorato al welfare che accorpi sanità e attività socio-sanitarie al quale Bossi ha candidato proprio Maroni, ma il premier sarebbe parecchio perplesso sull’idea di privarsene come ministro desiderando che sia proprio lui a completare la riforma del welfare.
Ecco così che, in nottata, è rispuntata l’ipotesi che meno di tutte le altre Formigoni e i suoi ritenevano possibile: il ripescaggio di Alessandro Cè, l’assessore «ribelle», alla sanità. Soluzione auspicata fin dall’inizio della querelle dagli uomini del Carroccio ma che formigoniani e azzurri ritenevano definitivamente tramontata, nel momento in cui l’assessore leghista si è ripetutamente rifiutato di presentare al governatore le scuse per le sue dichiarazioni al vetriolo fatte alla stampa nel mese d’agosto («la sanità è gestita in Lombardia secondo logiche di potere»). Una soluzione che, di fatto, indebolisce il governatore, costretto ad accettare una decisione impostagli dall’alto
Eppure ieri sera, prima di salire sull’auto blu che lo avrebbe portato ad Arcore, Maroni aveva fatto però intendere - intervistato da Giuliano Ferrara su La 7 - di essere pronto ad un nuovo incarico. «Dopo quattro anni - ha dichiarato il ministro leghista - ho bisogno di riposarmi. Tutti i politici dicono così? Io non sono un politico come gli altri, molti non mi conoscono fino in fondo». Parole che, in un certo senso, sapevano quasi di congedo anticipato dagli incarichi di governo per traslocare al Pirellone. O forse facevano parte anch’essa della tattica leghista di usare il proprio ministro più rappresentativo in modo da alzare il prezzo e costringere gli alleati a tornare sui propri passi, accettando le originarie proposte del Carroccio. Vale a dire, le scuse del partito padano per i toni usati dal proprio assessore. Praticamente quello che la Lega ha riproposto ieri sera col proprio Stato Generale, ottenendo in cambio la riconferma di Cè al Pirellone. Col «nemico» Giancarlo Abelli lasciato al welfare.


Berlusconi e Bossi hanno fatto di più: hanno sottoscritto insieme un documento di rinnovata alleanza e di appoggio a Formigoni che pregiudichi, in futuro, l’eventualità di nuovi attriti. Che però, tra i formigoniani, sono in parecchi a non escludere.

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