Roma - È una tabella in fondo al nuovo Documento di economia e finanza approvate dal governo la settimana scorsa, serve a mostrare quanto i conti, compresi quelli della previdenza, siano in ordine anche nel medio e nel lungo termine. Ma dal riquadro finale del Def dedicato alle «tendenze di medio e lungo periodo del sistema pensionistico» emerge anche il motivo che ha spinto il governo a introdurre qualche intervento sulla previdenza nell’ultima manovra. E che lo spinge a cercare un nuovo intervento, superando le resistenze politiche (della Lega Nord) e dei sindacati.
La famosa gobba della spesa previdenziale, cioè il picco della spesa previdenziale in rapporto al Pil, che era previsto per il 2030 e in nome del quale sono stati decisi tutti gli interventi dagli anni Novanta in poi, è arrivato già nel 2010, con venti anni di anticipo. In sostanza, le lacune delle riforme degli anni Novanta, che hanno scaricato i costi delle scelte non fatte sulle spalle delle generazioni future, si sono fatti sentire - al momento solo per quanto riguarda gli indicatori macroeconomici - molto in anticipo. «Il motivo è banalmente la contrazione del denominatore, cioè del Pil», spiega Giuliano Cazzola, deputato Pdl ed esperto di previdenza. «Tra il 2008 e il 2010, l’incidenza della spesa è cresciuta di 1,4 punti percentuali fino al 15,3%». Fino al 2014 la spesa si assesterà al 15,4%, e decrescerà solo del 2040, ma «tornerà sotto i 14 punti solo dopo il 2060 e non intorno al 2045 come era previsto».
È la conferma, secondo Cazzola, che il governo non aveva e non ha intenzione di fare cassa nell’immediato, ma che gli interventi fatti e quelli che in questi giorni circolano al ministero dell’Economia, servono a mettere in sicurezza i conti. «La previdenza è la polizza sul pareggio del bilancio», spiega Cazzola, autore dell’ordine del giorno approvato in Parlamento insieme alla manovra con il parere favorevole del governo, che impegna l’esecutivo a mettere mano di nuovo alle pensioni.
Negli ultimi giorni anche il ministro del Welfare Maurizio Sacconi è tornato a chiedere alle parti sociali un avviso comune sulle pensioni, interventi - ha spiegato ieri - non per fare cassa ma per introdurre nel medio termine misure di equità.
Le ricette sulle quali si sta lavorando sono più o meno le stesse che la Ragioneria aveva preparato per la manovra. C’è l’abolizione di fatto delle anzianità, attraverso «quota 100» da raggiungere in cinque anni. Ma c’è anche l’introduzione del sistema di calcolo contributivo pro rata per tutti, a partire dal 2012. In sostanza, anche chi aveva 18 anni di contributi nel 1995 e quindi ha diritto a un assegno calcolato con il sistema retributivo puro o le generazioni successive del «misto», avrebbe lo stesso trattamento di chi è stato assunto dopo il ’95. Allo studio anche l’anticipo al 2012 dell’adeguamento dell’età pensionabile alle aspettative di vita, ora previsto per il 2013. Quindi un aumento di tre mesi da subito. Particolarmente indigesta ai sindacati un’altra stretta che sta facendo capolino. Un «contributo di solidarietà» per i baby pensionati. Quelli ritirati con 50 anni di età e 25 di contributi. Il tema è delicatissimo. Le resistenze della Lega non sono ancora cadute e i veti sindacati sono tutti in piedi. Scontato il no della Cgil, qualche apertura dalla Uil di Luigi Angeletti, disposta a valutare misure pro giovani. Molto cauta la Cisl, disposta al massimo a parlarne solo dopo una riforma del fisco.
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