
Al centro della complessa vicenda ereditaria che coinvolge la famiglia Agnelli, è emersa la presenza di tre versioni di un’opera di Claude Monet, ma solo una sarebbe l’originale. L'opera in questione è “Le Glaçon n. 2”, dipinto battuto all’asta nel 2013 da Sotheby’s per 16 milioni di euro. La sua provenienza risale alla galleria Duhamel di Parigi ed è stato in passato esposto in un museo grazie all’impresario Marc Restellini.
L’interesse per il quadro coinvolge diversi soggetti: Lapo Elkann, la Procura di Roma, Margherita Agnelli e un anonimo cliente della casa d’aste. Come riporta Il Fatto Quotidiano, è proprio sull’identità dell’originale che ruotano dubbi e indagini. Nel 2013, quando il Monet veniva venduto da Sotheby’s, un dipinto simile si trovava a Villa Frescot, a Torino, in usufrutto a Marella Agnelli, madre di Margherita, morta nel 2019. Al momento dell’accesso alla villa dopo la morte della madre, Margherita Agnelli dichiara di non aver trovato il quadro e presenta una denuncia alla Procura di Milano. Ritiene che l’opera, insieme ad altri dipinti, sia stata sottratta dai figli John, Lapo e Ginevra, con cui è impegnata da anni in una disputa legale sull’eredità di famiglia.
L’indagine condotta dal pubblico ministero Eugenio Fusco porta in Svizzera, dove si scopre che il dipinto sarebbe stato custodito in un caveau presso il porto franco di Chiasso, gestito dal mercante d’arte Gabriele Martino. Tuttavia, al momento dell’accesso da parte delle autorità svizzere, l’opera non è più presente. Il procedimento si conclude con un’archiviazione. Poi, nel 2024, le indagini riprendono. La Guardia di Finanza effettua un sequestro presso un caveau del Lingotto, dove viene ritrovata una versione del Monet, che però risulta essere una copia realizzata nel 2008. L’attenzione si sposta allora su una residenza svizzera, Chesa Alkyone, un tempo appartenente alla famiglia Agnelli. Secondo documenti acquisiti dalla Procura, l’originale si troverebbe lì.
Gli inquirenti pongono interrogativi sulla movimentazione dell’opera all’estero, che, in quanto bene artistico di rilevante valore, avrebbe richiesto specifiche autorizzazioni doganali. La mancanza di tali autorizzazioni può costituire reato, con pene previste fino a 8 anni di reclusione, oltre alla confisca del bene. L'inchiesta, coordinata dal pubblico ministero Stefano Opilio, accende i riflettori anche su un inventario datato 20 ottobre 2003 - intitolato “Art Frescot” - che certifica la presenza del Monet nella residenza torinese poco dopo la morte dell’avvocato Gianni Agnelli.
Ulteriori elementi emergono da scambi di e-mail sequestrati alla segretaria personale di John Elkann, Monica Montaldo. In uno dei messaggi si legge: “L’originale del Monet era quindi a Frescot ed è stato sostituito da una copia?”. In un’altra comunicazione si fa riferimento alla gestione dell’eventuale esportazione dell’opera: “Per il Monet non esiste (importazione, ndr) temporanea, il dr Martino si è preso un giorno per valutare come approcciare la pratica”.
Nel 2013, Sotheby’s aveva effettivamente venduto un “Glaçon n. 2”, e al Fatto la casa d’aste ha precisato: “Siamo sicuri che tutte le procedure siano state seguite”.
Nello stesso anno, John Elkann aveva avuto un contatto diretto con Sotheby’s: in una mail, l’istituto chiedeva l’invio dell’opera a New York per un confronto con un altro esemplare, aggiungendo: “Sarà nostra cura provvedere alle spese di spedizione e assicurazione”. Il dipinto avrebbe quindi viaggiato dalla Svizzera agli Stati Uniti, per poi fare ritorno in Europa. Attualmente, l’opera sarebbe nella disponibilità di Lapo Elkann. Forse.