
«Sì, è vero: esiste un mercato di visti con la complicità di almeno un funzionario dell’ambasciata italiana in Bangladesh». Si è aperta con una clamorosa novità l’udienza di ieri del processo che a Roma vede imputati due funzionari della Farnesina di stanza a Dhaka, l’imprenditore bengalese Islam Nazrul, proprietario di un ristorante a Roma, e un suo collaboratore. È stato proprio Nazrul ad ammettere l’orrendo mercato di visti per l’Italia scoperto dal parlamentare Fdi eletto all’Estero Andrea di Giuseppe, a cui l’imprenditore si era rivolto per provare a corromperlo, inutilmente. «È per questo che di Giuseppe è stato ammesso come parte civile nel procedimento - commenta al Giornale il legale del parlamentare meloniano ed ex pm simbolo di Mani pulite Antonio di Pietro - nella prossima udienza del 21 ottobre verranno riformulati alcuni capi d’accusa e vedremo cosa succederà.
Della vicenda si era a lungo occupato il Giornale. Secondo la ricostruzione documentale della Guardia di Finanza i funzionari della Farnesina Nicola Muscatello e Roberto Albergo avrebbero rilasciato documenti che consentivano l’ingresso legale in Italia in cambio di soldi, biglietti aerei e investimenti immobiliari negli Emirati.
L’inchiesta era partita nel marzo del 2023 da una dettagliata indagine del membro della Commissione Affari esteri della Camera di Giuseppe, che da sempre si batte contro i meccanismi apparentemente legali d’ingresso in Italia e che in realtà nascondono un lucroso business, al tempo denunciato apertamente dalla premier Giorgia Meloni alla Procura antimafia guidata da Giovanni Melillo. A essere smantellato, con una serie di blitz di Gdf e Farnesina nei nostri uffici diplomatici, è un traffico di visti che valeva milioni. Si è scoperto infatti che alcuni cittadini bengalesi, con la complicità di loro connazionali, pagavano tra i 7mila e i 15mila euro per un visto di lavoro turistico.
A di Giuseppe erano stati promessi una parte degli incassi di questo lucroso business in cambio del suo silenzio. Il meccanismo fraudolento era semplice: le false lettere di assunzione erano il passpartout per far entrare irregolarmente bengalesi, disposti a ricompensare chi chiudeva un occhio alla Farnesina, con alcuni complici come il sodale di Nazrul, tale Shamin Kazi o il presunto falsario Patwary Md Baleyet Hossain a fornire i documenti, approfittando dell’enorme richiesta di ingressi regolati dal Decreto flussi che, non a caso, la Meloni ha radicalmente stravolto. «I criminali usano il clic day», aveva detto il premier agli investigatori antimafia, denunciando l’enorme discrepanza tra le domande di assunzione e i contratti effettivamente registrati, che in Campania è meno del 3%. Gli immigrati, infatti, una volta in Italia restavano nell’oblio a lavorare sottopagati e in nero, sfruttati soprattutto dalle agrimafie nelle Regioni del Sud. Dalla compravendita di finti permessi per venire in Italia, soprattutto dal Bangladesh ma anche da Pakistan e Sri Lanka, si nascondono anche pericolose insidie sul fronte della lotta al terrorismo. Del pasticcio sui visti ha parlato il Giornale per primo il 9 giugno 2021, quando gli uffici diplomatici a Islamabad denunciarono la scomparsa di mille visti Schengen dalla cassaforte italiana.
Fino al gennaio 2023 il mercato sarebbe stato gestito da Muscatello, con cui Nazrul oggi ammette di aver avuto un accordo fino al trasferimento del funzionario in Turchia. Al suo posto è arrivato Albergo, entrambi si dichiarano estranei a questo spietato meccanismo nonostante le offerte dell’imprenditore bengalese. Le conversazioni telefoniche captate dalla Finanza, assieme alla registrazione di alcuni degli incontri tra Nazrul e i suoi complici hanno evidentemente convinto l’imprenditore ad ammettere le sue responsabilità nel tentativo di alleggerire la sua posizione.
Nei mesi scorsi il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha deciso un repulisti nelle ambasciate e nei consolati, epicentro di queste alchimie, avvalendosi di una delegazione ispettiva della quale facevano parte anche funzionari della Farnesina e delle forze dell’ordine.
«Il sistema Farnesina è sano, lavoriamo perché questo e altri mercati alle spalle dei migranti che chiedono di lavorare regolarmente in Italia possa finire presto», dice soddisfatto di Giuseppe, che in passato per le sue denunce su patronati, brogli all’estero e malagestio dei fondi in alcune regioni del Sudamerica ha ricevuto pesantissime minacce mafiose.