
Le voci sulla salute di Vladimir Putin tornano ciclicamente a occupare le cronache internazionali. Tumori, Parkinson, sindromi ormonali: diagnosi mai confermate, ma alimentate dalla ferrea segretezza del Cremlino.
Non è un mistero che il presidente russo, ossessionato dalla privacy, durante i viaggi all’estero faccia raccogliere feci e urine dai suoi uomini della sicurezza per evitare ogni tracciamento genetico. Nel 2019 a Parigi, un filmato lo mostrava uscire da un bagno seguito da sei guardie del corpo con una valigetta: il “rituale” si ripete ancora oggi, persino durante la recente visita in Alaska per incontrare Donald Trump. Per le intelligence occidentali, i dati clinici di un leader restano una miniera d’oro.
In questo quadro si inseriscono le parole di Massimo D’Alema sul Corriere della Sera, che a metà settembre ha incrociato Putin a Pechino, durante le celebrazioni per l’ottantesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. Un viaggio già controverso in patria per le sue foto accanto a Kim Jong-un, Aleksandr Lukashenko e Masoud Pezeshkian, e per un’intervista dal tono filo-cinese. Raccontando a Roma quell’incontro, l’ex premier ha detto di aver trovato Putin molto affaticato, al punto da essere sostenuto da due persone.
Le immagini ufficiali della cerimonia non mostravano segni evidenti di cedimento, ma il resoconto di D’Alema ha riacceso i dubbi. Nel frattempo, anche dalle parole dei protagonisti trapela qualcosa: in un fuori onda con Xi Jinping, Putin aveva parlato di biotecnologie in grado di rendere gli uomini "sempre più giovani" e di un futuro in cui si potrebbe persino "raggiungere l’immortalità". Battute che rivelano più la volontà di apparire eterno che lo stato reale della sua salute.
Il mistero
resta, e mentre Mosca smentisce ogni illazione, i servizi segreti occidentali continuano a studiare ogni dettaglio. Perché il corpo di Putin, tanto quanto le sue decisioni politiche, è ormai diventato un campo di battaglia.