Cronaca internazionale

Erdogan chiama il Papa: "A Gaza è in corso un massacro. Santa Sede intervenga"

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha avuto questa mattina un colloquio telefonico con Papa Francesco durante il quale è stata ribadita l'importanza di porre fine al conflitto tra Israele e Hamas

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Recep Tayyip Erdogan e Papa Francesco hanno avuto un colloquio telefonico in merito alla crisi esplosa tra Israele e Hamas. Il presidente turco, nello specifico, ha puntato il dito contro gli attacchi israeliani contro Gaza affermando che hanno raggiunto "il livello del massacro". Nel corso del confronto, ha spiegato la presidenza di Ankara, Erdogan ha inoltre criticato la mancanza di indignazione da parte della comunità internazionale nei confronti dei raid di Tel Aviv nella Striscia, ribadendo l’importanza di porre fine al conflitto tra le parti.

Il colloquio tra Erdogan e Papa Francesco

La telefonata tra Erdogan e il Santo Padre è avvenuta all’indomani del discorso alla nazione di Benjamin Netanyahu, nel quale il premier israeliano ha annunciato un imminente offensiva di terra da parte delle Forze di difesa isreaeliane (Idf) nella Striscia di Gaza. Questa azione ha creato non poca apprensione in gran parte del Medio Oriente per la situazione umanitaria dei civili presenti nell’area critica, nonché per il destino di oltre due milioni di persone.

Citando gli aiuti umanitari per la popolazione della Striscia inviati da Ankara, Erdogan ha lanciato un appello per sostenere gli sforzi della Turchia e ha affermato che "la pace permanente nella regione, che ospita i luoghi sacri delle tre religioni monoteistiche, sarà possibile solo con la creazione di uno Stato di Palestina indipendente, sovrano e geograficamente integrato ai confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale".

In base a quanto filtrato, dunque, facendo leva proprio su questi aspetti Erdogan avrebbe espresso a Papa Francesco grande preoccupazione, chiedendo alla Santa Sede di intervenire per porre fine alle violazioni dei diritti umani che hanno caratterizzato le ultime settimane e intercedere per un cessate il fuoco. Il leader turco, che già si era fatto avanti nei panni di mediatore nell’ambito della guerra in Ucraina, prova dunque a scendere nuovamente in campo nel tentativo di consolidare l’influenza di Ankara nella regione.

La posizione della Turchia

Il gioco di sponda cercato da Erdogan con Papa Francesco va tuttavia in scena su un piano a dir poco scivoloso, visto e considerando le ultime esternazioni del presidente turco, secondo cui Hamas non sarebbe un gruppo terroristico bensì "un gruppo di liberatori che proteggono la loro terra". Ricordiamo, infatti, che in un recentissimo discorso al parlamento nazionale, il capo di Stato di Ankara ha difeso i carnefici nel massacro del 7 ottobre e sferrato un attacco a Israele, accusandolo di commettere a Gaza "crimini contro l'umanità premeditati".

Immediata - ancor più dopo il caso Guterres - la reazione del governo Netanyahu, esecutivo di emergenza nazionale in stato di guerra: "Hamas è una spregevole organizzazione terroristica peggiore dell’Isis. Le parole del presidente turco non cambieranno questo fatto inequivocabile né gli orrori che il mondo intero ha visto" quel giorno. Certo è che Erdogan, presidente di un Paese filo palestinese, era fin qui rimasto cauto nel criticare Israele, salvo poi scollarsi dalla posizione di Usa e Ue. "La metà delle vittime palestinesi sono bambini, cui vanno aggiunte donne e anziani. Un massacro che sta raggiungendo le dimensioni di un genocidio", ha quindi tuonato Erdogan, lasciando di sasso Netanyahu.

Anche perché il messaggio inviato da Erdogan all’indirizzo del governo israeliano è suonato forte e chiaro. "Non abbiamo nessun problema con lo Stato di Israele, abbiamo un problema con le atrocità che commette. Non si comporta come uno Stato, ma come un'organizzazione" ha detto il presidente turco poche ore fa. Israele la scorsa settimana aveva annunciato il rientro in via temporanea del proprio personale diplomatico dal territorio turco.

Una misura scattata per motivi di sicurezza in seguito alle manifestazioni di protesta dinanzi consolato e ambasciata in Turchia, ma che rischia a questo punto di divenire definitiva.

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