Scena del crimine

Alessia Pifferi, Pietro Maso, Angelo Izzo: quel filo rosso dietro ai delitti. "Cos’è l’alessitimia"

Nel processo ad Alessia Pifferi è entrata una parola misteriosa: alessitimia. La psicologa Miolì Chiung spiega: "Non è una malattia ma una caratteristica"

Alessia Pifferi, Pietro Maso, Angelo Izzo: quel filo rosso dietro ai delitti. "Cos’è l’alessitimia"

Alessitimia” è probabilmente una delle parole che gli italiani stanno apprendendo nel 2024. È stata utilizzata nel resoconto reso nella sua perizia dallo psichiatra Elvezio Pirfo nel procedimento giudiziario per Alessia Pifferi, accusata di aver lasciato la figlia, Diana Pifferi di 16 mesi, morire di stenti dopo un abbandono 6 giorni in casa nel luglio 2022.

“L’alessitimia non è una patologia e non identifica una malattia mentale”, spiega a IlGiornale.it la dottoressa Miolì Chiung, psicoterapeuta esperta in psicologia giuridica e criminologica, che non ha nessun ruolo nel caso di specie, ma conosce molto il tema.

Che cos’è l’alessitimia?

“L’alessitimia è una caratteristica, un tratto neurobiologico. È per questo che non è presente all’interno del manuale diagnostico Dsm-V dei disturbi mentali. È importante sottolinearlo perché, essendo un tratto, può essere presente in molte persone che non hanno alcun disturbo mentale. L’alessitimia si manifesta attraverso una serie di difficoltà rispetto a identificare, descrivere e interpretare i propri e gli altrui sentimenti; distinguere gli stati emotivi dalle percezioni fisiologiche; individuare quali siano le cause che determinano le proprie emozioni; utilizzare il linguaggio come strumento per esprimere i sentimenti, con conseguente tendenza a sostituire la parola con l’azione fisica. Un esempio: quando proviamo vergogna, diventiamo magari rossi in viso. Chi ha l’alessitimia fatica nel attribuire al rossore un’emozione”.

Altri esempi pratici su persone con alessitimia?

“Provano emozioni, ma faticano a esprimerle e non sanno attribuire il giusto nome all’emozione o lo confondono. Per esempio vengono confusi eccitazione sessuale con amore, oppure odio per tristezza, paura per ansia. Mescolano l’etichetta verbale attribuita all’emozione o proprio non ne hanno consapevolezza. E c’è un ultimo punto”.

Ovvero?

“La difficoltà di queste persone di riuscire a diventare introspettivi. Il loro pensiero è orientato sempre verso l’esterno e mai a quello che loro potrebbero aver pensato o fatto per aver provocato una risposta emotiva o comportamentale in un’altra persona o in se stessi”.

Quindi potremmo dire che non provano sensi di colpa?

“Più che altro non si pongono la domanda. Quanto più una persona è consapevole delle sue emozioni, tanto più riuscirà a essere empatica. L’altro può essere arrabbiato o felice, ma l’alessitimico non pensa che sia colpa o merito suo poiché non riconosce l’emozione. Possiamo semplicisticamente definirla una sorta di analfabetismo emotivo. I soggetti che ne soffrono tendono al conformismo sociale e generalmente stabiliscono relazioni di forte dipendenza o, viceversa, preferiscono l’isolamento”.

Quali sono i test per la diagnosi?

“Il test più utilizzato è un questionario, che può essere autosomministrato o somministrato dal clinico, il Tas-20. Si tratta di 20 domande che vanno ad analizzare nello specifico le caratteristiche che potrebbero individuare la diagnosi di alessitimia, analizzando le competenze emotive del paziente”.

Su quali persone possono essere eseguiti i test?

“Per fare in modo che il test possa essere valido, bisogna avere un quoziente intellettivo nella norma”.

In quali occasioni viene somministrato il Tas-20?

“Attualmente studi e ricerche dimostrano che l’alessitimia è uno dei fattori di rischio per diversi disturbi sia fisici o psicologici: anoressia e bulimia nervosa, depressione, disturbi d’ansia. Caratteristiche alessitimiche le possiamo ritrovare anche in dipendenza da sostanze, ludopatia, disturbo post-traumatico da stress e depressione. Può essere scelto dal clinico come test per integrare la valutazione. È importante dire che tutte le diagnosi si avvalgono di test, ma lo strumento principe per la valutazione è comunque il colloquio clinico in cui si identificano le aree da approfondire”.

Nel caso di Alessia Pifferi, lo psichiatra Elvezio Pirfo ha individuato l’alessitimia ma al tempo stesso la capacità di intendere e di volere. In che modo l’alessitimia può essere compatibile con la commissione di un crimine?

“Essendo l’alessitimia l’incapacità di provare emozioni e riuscire a comprendere il disagio o il pericolo dell’altro la possiamo correlare in maniera abbastanza evidente. La perizia dichiara la Pifferi sana di mente e senza alcuna patologia psichiatrica. È quindi evidente che i sintomi di alessitimia e dipendenza non sono riconducibili a una diagnosi. L’analfabetismo emotivo della Pifferi non è un ostacolo alla sua capacità di intendere e volere”.

Quindi l’alessitimia non è la prova diretta della capacità di intendere e volere di Alessia Pifferi?

“No, questa sarebbe una deduzione non correlata da prova. Per definire Alessia Pifferi capace di intendere dobbiamo escludere un quoziente intellettivo sotto la norma e assenza di patologie psichiatriche. Una persona alessitimica è in grado di intendere e volere se risulta l’unica caratteristica rilevata senza altre compromissioni fisiche e mentali”.

Quali casi criminosi del passato - quando per esempio non si conosceva la caratteristica e non erano stati formulati test in proposito - possono celare una presunta alessitimia? Posto ovviamente che il caso di Alessia Pifferi è un unicum e nulla ha a che fare con altri casi della storia criminale.

“Sì, il caso Pifferi è unico e non può essere paragonato a nessun altro, tanto più che c’è un processo in corso. Ma in quasi tutti i grandi casi della storia criminale italiana, da Angelo Izzo a Pietro Maso, l’alessitimia entrerebbe in maniera importante nelle eventuali valutazioni se fosse stato somministrato il Tas-20, probabilmente con punteggi che avrebbero individuato un punteggio patologico. Andando oltreoceano, mi verrebbe da ipotizzare il più famoso Ted Bundy, il quale lo dichiara a un certo punto”.

Cosa?

“In un’intervista, molti anni fa, Bundy, quando gli chiesero se provasse sentimenti di pentimento rispetto a quello che aveva fatto, disse che quello è il meccanismo che usiamo per controllare le persone, che è un'illusione e che esistono modi migliori per controllare il comportamento”.

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