
«Ho fatto una cosa mostruosa. Marilyn? È la figlia femmina che non ho avuto». Confessa, al termine di un lungo interrogatorio con il sostituto procuratore Giorgio Milillo, Lorena Venier, la 61enne che ha ucciso il figlio Alessandro, 35 anni, assieme alla nuora, Marilyn Castro Monsalvo di 30 anni. La donna, stimata infermiera caposala all'ospedale di Gemona, esce a mezzanotte passata dalla caserma di Udine per essere trasferita nel carcere di Trieste. Lucida, non un attimo di esitazione nel ricostruire ogni momento prima e dopo l'omicidio del figlio.
Alessandro viene ucciso la notte del 25 luglio, una giornata non particolarmente tesa anche se le liti fra i tre sono continue, aumentate con la nascita della nipotina. La Venier avrebbe chiarito le modalità dell'omicidio anche se, in attesa dell'interrogatorio della Monsalvo rinviato perché ieri la donna si è sentita male, gli inquirenti non parlano. Motivo? «Vogliamo vedere se le due versioni coincidono - spiegano -, solo allora il quadro potrà essere chiaro». Stanche dei continui soprusi, violenze e liti, Lorena e Marilyn avrebbero somministrato al 35enne antidepressivi in maniera massiccia. Troppo massiccia, tanto da ammazzarlo. A quel punto le donne avrebbero diviso il corpo in tre parti con un'accetta. Infine l'idea di nascondere il cadavere in una cantina esterna all'abitazione in località Tobaga, una villetta al 47 di via del Lotti, all'interno di un bidone riempito con della calce viva. Materiale acquistato per l'occasione. Secondo le indagini, prima dell'assassinio tanto che in sede di convalida del fermo «verrà contestata l'aggravante della premeditazione, oltre all'omicidio volontario in concorso e occultamento di cadavere», spiega il pm Claudia Dandelon.
Nei giorni successivi, fino a mercoledì sera, Lorena si reca al lavoro come se niente fosse. «La vicenda è molto delicata - aggiunge il magistrato - e prima della conclusione degli accertamenti non possiamo asserire se ci siano state responsabilità preponderanti nel delitto di un'indagata rispetto all'altra». La Monsalvo, ricoverata in ospedale in seguito al malore, verrà interrogata nelle prossime ore. Certo è che le due donne non ce la facevano più a convivere con Alessandro. Piccoli precedenti, da tempo non lavorava e non collaborava in casa. I quattro vivevano unicamente con lo stipendio di Lorena e, spesso, non arrivavano a fine mese. La compagna, colombiana, dopo aver partorito la bambina, a gennaio, cade in depressione tanto da andare in cura al centro di salute mentale della cittadina friulana. La piccola, poi, ha bisogno di mille attenzioni e, in sostanza, il padre non fa nulla. Motivo di liti continue.
Anche la sera dell'omicidio ci sarebbe stata una discussione perché, nonostante le raccomandazioni, Alessandro non aveva preparato niente per cena. Figlio unico, il padre, un cittadino egiziano, non l'ha voluto riconoscere tanto da portare il cognome della madre. Qualche guaio con la giustizia, lavoretti saltuari, Alessandro da tempo non contribuiva in alcun modo. La compagna, invece, era in attesa di un'occupazione fissa dopo aver frequentato un corso per diventare Oss.
Un omicidio mostruoso, maturato dalle due donne perfettamente in sintonia fra loro. «Forse in questo legame eccezionale - spiega l'avvocato della Venier, Giovanni De Nardo - può esserci la base e la spiegazione di ciò che è accaduto».