Cronaca di un omicidio a luci rosse

«Ero nudo, sono sceso al piano di sotto a riprendermi i vestiti. Il signor Meche è rimasto di sopra, con la signora. Poi è sceso di sotto e voleva ricominciare, mi minacciava con un coltello. A quel punto ho avuto paura, ho preso il primo attrezzo che mi è capitato in mano, forse un martello, e mi sono difeso». Sono queste le frasi centrali dell’autodifesa che Claudiu Stoleru ha messo a verbale, dopo che i carabinieri di Verona lo avevano inseguito fino al porto di Civitavecchia e placcato un passo dalla fuga. Man mano che le dichiarazioni del giovane romeno iniziano a trapelare, la storia del duplice omicidio di Lugagnano viene illuminata da una luce sempre più nitida e cruda. E diventa sempre più comprensibile l’imbarazzo dei carabinieri, la reticenza con cui - annunciando il 25 aprile l’arresto del fuggiasco - hanno chiesto di non insozzare con troppi dettagli la memoria di chi non si può più difendere, dei due maturi coniugi andati incontro ad una morte ingiusta e raccapricciante.
Ma lui, Claudiu Stoleru, problemi non se ne fa. Parla male l’italiano ma si rende conto di essere gravato da un’accusa da ergastolo. E per cercare di scrollarsela di dosso non ha timori reverenziali. «Infanga la memoria di un morto, lo uccide due volte», protestano i parenti di Meche, ma Stoleru ha altre preoccupazioni. I carabinieri un po’ gli credono e un po’ no. Gli credono quando racconta delle pretese di sesso di Luigi Meche, suo datore di lavoro. Gli credono meno quando dice di non sapere come è morta Luciana Rambaldo, la moglie. Ieri il fermo si Stoleru è stato convalidato, l’accusa è duplice omicidio volontario. Domani verrà interrogato ancora, mentre si cercano riscontri o smentite al suo racconto.
Qual è, per la parte che se ne può riferire, questo racconto? Il romeno racconta che mercoledì pomeriggio - mentre lui e Meche erano soli in casa - era ripartito il gioco di avances sessuali. «Non era la prima volta, ero già stato con lui. Mi ha chiesto di spogliarmi, io ho accettato». Per qualche decina di minuti nulla turba l’intimità dei due uomini. Poi, però, a sorpresa, rientra a casa Luciana, si trova davanti il ragazzo spogliato. Ed è qui che inizia la parte più dura da credere: Stoleru dice che, sotto la minaccia di un coltello, Meche lo avrebbe costretto ad un rapporto con la moglie. «Quando abbiamo terminato - sostiene - sono sceso nella cantina a rivestirmi».
È l’inizio della fine. Il romeno racconta di essersi ritrovato davanti l’uomo, ancora con il coltello in mano, che pretendeva nuove attenzioni. E, a quel punto, di avere perso la testa. «L’ho colpito molte volte, non so quante, lui era grosso e si difendeva.

Alla fine si muoveva ancora, per essere sicuro che non potesse più reagire gli ho legato le braccia, ho nascosto il corpo, ho pulito e sono fuggito». Ma del coltello che Luigi Meche avrebbe impugnato pare - purtroppo per il romeno e il suo raggelante racconto - che non ci sia traccia.

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