Cronache

Se rischiamo di mangiare la bistecca al gusto di doping

Per il ministero solo lo 0,11 per cento dei bovini è contaminato. Ma secondo fonti non ufficiali è avvelenato un capo su sei

Se rischiamo di mangiare la bistecca al gusto di doping

La bistecca si sgonfia. Messa in padella, si restringe di un terzo. E il consumatore si fa domande su manzi dopati e mega iniezioni al cortisone, qualcuno smette persino di mangiare carne. Sotto accusa finiscono gli allevamenti di bovini. Gli italiani nel 2013 hanno mangiato 1 milione e 164mila tonnellate di carne rossa, secondi in Ue solo ai francesi. Ma nel nostro piatto, con l'arrosto, finiscono anabolizzanti, steroidi, ormoni sessuali e altre sostanze vietate. Che negli animali «da reddito» aumentano la massa muscolare, mentre nelle persone possono causare squilibri ormonali, alterazioni della crescita e del sistema immunitario, rischio di cancro. Lo dicono le inchieste delle procure. Come quella che a marzo ha portato alla condanna di un allevatore di Cuneo che grazie alla complicità di un veterinario dell'Asl ha gonfiato per anni i propri vitelli. Lo dimostrano le confische di farmaci abusivi nei capannoni e nelle stalle. I Nas nel 2014 nel settore carni hanno raggiunto i 143,7 milioni di euro di sequestri. Hanno fatto 211 controlli sui farmaci veterinari, con ben 114 sanzioni penali e 71 amministrative. Non solo. Secondo alcune inchieste giornalistiche ben il 15% dei capi analizzati, ovvero uno su sei, è risultato positivo alla somministrazione di steroidi anabolizzanti, corticosteroidi e altri veleni. Ma il ministero della Salute getta acqua sul fuoco. «Il nostro sistema di controlli può vantare una importante leadership mondiale», assicura il ministro Beatrice Lorenzin.

IL TRUCCO DEL WEEKEND

Ogni anno il ministero pubblica il Piano nazionale residui (Pnr). È il risultato dei controlli negli allevamenti e sui prodotti di origine animale alla ricerca dei residui di sostanze dannose per l'uomo. I dati del 2014, come quelli degli ultimi anni, sono più che rassicuranti. Per i bovini appena 44 campioni «non conformi» su 40.806 analizzati. Lo 0,11%. Quindi possiamo sederci a tavola tranquilli? Non è proprio così. La rete di controlli del Pnr è basata sulle analisi chimiche e segue direttive europee. I veterinari delle Asl fanno prelievi di sangue e urine e cercano le molecole fuorilegge. Ma molti esperti fanno notare un grosso limite di questo metodo. Le sostanze illegali sono cioè rilevabili solo per due-tre giorni dopo la somministrazione. Gli allevatori disonesti lo sanno e ricorrono spesso al «trucco del weekend». Basta dopare i vitelli il venerdì sera, con la certezza che gli ispettori non si faranno vivi almeno fino al lunedì. O preparare la siringa giusta con l'aiuto di un chimico di fiducia.

L'IMPORTANZA DEL PELO

Poi ci sono i test istologici. Quelli che analizzano nei bovini gli organi «bersaglio» di alcune sostanze alla ricerca di alterazioni. Sono esami su timo e tiroide per le lesioni dovute a trattamenti con cortisonici e tireostatici (farmaci per la tiroide), su ghiandole bulbo uretrali (quelle dell'ultimo tratto delle vie urinarie) e prostata per le lesioni causate dagli steroidi sessuali. Detto terra terra: se l'organo è malato, il vitello lungo la sua vita è stato gonfiato. È l'uovo di Colombo? Non è così semplice. Anche il metodo istologico ha i suoi limiti. Viene effettuato sull'animale morto, a distanza di tempo dal trattamento illegale. E quando la carne è già nel nostro piatto.

Carlo Nebbia, docente di Farmacologia e tossicologia veterinaria all'Università di Torino ed esperto presso l'Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare), mette il dito nella piaga: «I risultati dei test di screening istologici e di alcune recenti indagini sui biomarcatori, per quanto relativamente attendibili, dimostrano un'incidenza di casi non conformi relativa all'uso di anabolizzanti molto maggiore rispetto ai dati ufficiali. Le ragioni sono legate all'introduzione di cocktail di vari principi attivi a basso dosaggio o di molecole di struttura sconosciuta agli organi di controllo e quindi non sottoposte a ricerca chimica sistematica o, ancora, di molecole rapidamente metabolizzate, come il prednisolone (un altro ormone steroideo, ndr). Il problema - continua Nebbia - non è certo solo italiano. Anzi, sotto questo profilo il nostro Paese è fra quelli con un numero di non conformità storicamente maggiore rispetto a quelli di altri Paesi Ue. Significa che il controllo è puntuale». Alcune modifiche migliorerebbero il sistema: «Si potrebbe ad esempio - conclude Nebbia - ricercare nelle urine non solo il prednisolone ma anche i suoi metaboliti (il risultato della metabolizzazione di una sostanza, ndr). Oppure usare l'esame del pelo non solo per i beta-agonisti (farmaci broncodilatatori, ndr) ma anche per steroidi anabolizzanti e corticosteroidi». Il pelo infatti conserva una «memoria» più lunga dei veleni somministrati.

L'ITALIA E L'EUROPA

Non è che il metodo istologico non sia ufficiale. Dal 2008, e solo in Italia, viene affiancato al chimico e riconosciuto come efficace. Non ha però valore giuridico per sanzioni e sequestri contro i furbetti della stalla. Inoltre non è condiviso a livello europeo. Se solo l'Italia lo usasse per selezionare le carni sicure, le nostre sarebbero penalizzate rispetto a quelle degli altri Paesi. L'Istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta è un punto di riferimento per i test istologici e sede del Centro di referenza nazionale per le indagini biologiche sugli anabolizzanti animali (Ciba). «I dati del Pnr - spiega Maria Caramelli, direttore generale dell'Istituto - sono straordinariamente rassicuranti e i controlli sono fatti con metodi condivisi in Europa. Il metodo istologico invece funziona, ma si usa solo in Italia. Da noi c'è un'alta sensibilità per la sicurezza alimentare».

A complicare le valutazioni è l'ampia gamma di «veleni» potenzialmente somministrabili: non ci sono solo gli ormoni sessuali, legali negli Usa e al bando da noi. I farmaci come i cortisonici sono permessi, seguendo le regole su prescrizione veterinaria e periodo di sospensione prima della macellazione. Il cortisone però trattiene l'acqua ed è perfetto per pesare di più l'animale poco prima che finisca sugli scaffali. «Contro gli abusi - continua Caramelli - la strategia di lotta deve essere chimica e biologica insieme. Il test istologico è un'evidenza scientifica efficace, tuttavia isolato non basta. Perché si effettua anche molto tempo dopo il trattamento vietato e non in flagranza. Non trova dunque la molecola incriminata, la “pistola fumante”». Le anomalie istologiche servono a classificare i casi «sospetti» e ad accendere i riflettori su certi allevamenti.

I NUOVI NUMERI

Ma come commentano le fonti ufficiali le percentuali a due cifre di vitelli dopati? Molto semplicemente: i dati vanno interpretati. «Il metodo istologico - precisa Francesca Roberti, della Direzione generale per l'igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione - è da anni complementare a quello chimico, che è tuttora valido. Lo dimostrano le tendenze che emergono dal Piano nazionale residui, simili a quelle degli altri Paesi. L'istologico è molto utile per evidenziare situazioni sospette e come deterrente. I due sistemi non sono in contraddizione ma si integrano». Capita così che i prelievi fatti nei capannoni segnalati dai test istologici il più delle volte diano esito negativo. «Dati chimici e biologici non sono comparabili. I primi indicano una corrispondenza diretta positività-sostanze vietate, i secondi no», spiega Roberti. Al Piano nazionale 2014 è stato per la prima volta allegato il report istologico, con dati finalmente pubblici: 2% di casi sospetti per gli steroidi sessuali, «ma - avverte Roberti - questi ormoni vengono in parte prodotti naturalmente dall'organismo». E 10-17% per i cortisonici, «il cui uso, nei limiti, è permesso. I numeri possono essere dovuti sia al lecito sia all'illecito. Certo è che l'allevatore segnalato subirà un controllo dei registri di somministrazione».

Tra molecole e vetrini il consumatore corre il rischio di perdersi. «La nostra filiera è tra le più sicure al mondo - assicura Massimiliano Filippi, segretario generale di Federfauna -. Anche se i furbi esistono e danneggiano gli allevatori onesti». Meno tranquillizzante Antonella Borrometi di Altroconsumo: «È difficile difendersi da sostanze che non lasciano tracce e se il loro utilizzo è fraudolento, il consumatore può fare poco. Consiglio di differenziare le fonti proteiche tra carne, pesce, uova, legumi.

Così si diluiscono i rischi».

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