Cronache

È morto Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica

Eugenio Scalfari, storico fondatore di Repubblica, è deceduto oggi dopo aver dedicato un'intera vita al giornalismo

È morto Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica

Repubblica perde il suo fondatore. Eugenio Scalfari è morto oggi all’età di 98 anni, dopo aver dedicato un’intera vita al giornalismo.

La giovinezza fascista di Scalfari

Scalfari, nato nel 1924 a Civitavecchia, conosce Italo Calvino negli anni del liceo quando si trasferisce temporaneamente a Sanremo. Intraprende la carriera giornalistica scrivendo per Roma fascista, la rivista del Guf (Gruppo Universitario Fascista) di cui diventa caporedattore nel 1942. Su Mussolini scrive:“Ancora oggi è la stessa voce del Capo che ci guida e ci addita le mete da attingere. Oggi mentre sembra che Sua Maestà la Massa (come la definì il Duce in un lontano giorno) mascherata da veli più o meno adeguati tenti di riprendere il suo trono, è necessario riporre l’accento sull’elemento disuguaglianza, che il Fascismo ha posto come cardine della sua dottrina”, come si può leggere nel libro satirico “Lo Scalfarino portatile, ovvero come si diventa il giornalista più importante che c´è in Italia in 14 facili lezioni”, scritto da Walter Mariotti nel 1994. Lo stesso Scalfari non ha mai rinnegato il suo passato: “Non me ne sono mai vergognato di quella giovinezza nei Guf, anzi: tutto quel mio essere stato orgogliosamente fascista ha poi reso solido il mio antifascismo”. Ma nel 2008, in un’intervista rilasciata a Pietrangelo Buttafuoco, ammette anche di aver smesso di essere fascista solo dopo essere stato espulso dal Partito Fascista. “E - aggiunge - devo dire che ne ebbi un grande dispiacere. Fu un dolore inferto alla mia giovinezza vedermi strappare le stellette dalle spalline, una sconfitta che generò in me una profonda crisi”.

La nascita de L'Espresso e l'ingresso in Parlamento

Dopo l’espulsione, fonda insieme a Calvino il Movimento universitario liberale (Muil) e, nel dopoguerra, si avvicina al Partito Liberale. Nel 1947 inizia a lavorare per la Banca Nazionale del Lavoro e tre anni più tardi si sposa con Simonetta De Benedetti, figlia di Giulio, storico direttore de La Stampa. Sono anni in cui Scalfari fa la spola tra Roma e Milano e, grazie all’incontro con Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti inizia a collaborare con Il Mondo e L’Europeo. Nel 1955 è tra i fondatori del Partito Radicale e, nello stesso anno, diventa direttore de L’Espresso, settimanale nato per volontà di Carlo Caracciolo e Arrigo Benedetti. Qui, insieme a Lino Jannuzzi, pubblica un’inchiesta sul piano Solo e sul generale Giovanni De Lorenzo che querela entrambi i giornalisti i quali inizialmente vengono condannati a 15 e 14 mesi di reclusione. Nel 1968 lascia la direzione de L’Espresso per approdare alla Camera con il Psi, partito col quale cinque anni prima era stato eletto consigliere comunale a Milano. Jannuzzi, invece, diventa senatore, sempre con il Psi, e così entrambi evitano il carcere grazie all'immunità parlamentare. De Lorenzo, che poi ritirerà la querela, viene eletto tra le file dei monarchici. Nel 1971 Scalfari sottoscrive una lettera aperta, pubblicata da L’Espresso, in cui vari intellettuali, politici e giornalisti di sinistra accusavano il commissario Luigi Calabresi di essere responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Il 20 maggio 2017, però, Scalfari, in un lungo editoriale, ha rivelato che, dieci anni prima, aveva ammesso davanti alla vedova di Calabresi che "quella firma era stata un errore".

La nascita di Repubblica

Il giorno della svolta della carriera giornalistica di Scalfari è il 14 gennaio 1976 quando esce il primo numero del quotidiano La Repubblica, fondato grazie ai capitali messi a disposizione da Carlo Caracciolo, editore dell’Espresso, dalla Mondadori (che aveva il 50%), dallo stesso Scalfari (circa il 10%) e da un piccolo nucleo di soci minori. La redazione occupa solo quattro stanze, in via Po 12 a Roma, sede anche dell’Espresso. Repubblica nasce come giornale schierato a sinistra che puntava molto sulla politica cercando di attirare i lettori più radical chic e trascurava volutamente la cronaca e lo sport, apparso soltanto dal 1979 e curato da Gianni Brera. Il primo numero, uscito col classico formato tabloid, costa 150 lire, ha 24 pagine e apre con le difficoltà del quarto governo Moro, che sarebbe caduto nel luglio del 1976. Gianni Rocca era caporedattore centrale, mentre le firme di punta erano Giorgio Bocca, Sandro Viola, Mario Pirani, Miriam Mafai, Barbara Spinelli, Natalia Aspesi e Giuseppe Turani. Le vignette, invece, erano affidate a Giorgio Forattini. Nel 1978, dopo il rapimento Moro, la prima foto scattate dalle Brigate Rosse faceva vedere il segretario della Dc che teneva in mano una copia di Repubblica.

Nel 1980 il quotidiano raggiunge il pareggio di bilancio. Giorgio Dell’Arti racconta che, durante le riunioni di redazione, Scalfari faceva ascoltare ai suoi redattori le telefonate con i suoi informatori “per esempio il presidente della Repubblica Pertini, o il presidente del Consiglio Cossiga o Forlani o Spadolini o soprattutto De Mita, Enrico Cuccia, ministri a iosa, notabili democristiani come Bisaglia o Franco Evangelisti, che cominciava sempre con un “ciao, Eugè” –, i capi dei sindacati, i capi delle industrie e, insomma, tutto il potere dispiegato che non vedeva l’ora di parlargli”. Negli anni ’80 Scalfari, simpaticamente soprannominato Barbapapà, si schiera dalla parte di Ciriaco De Mita e comunque sempre contro l’odiatissimo Bettino Craxi. Il 29 luglio 1981 pubblica l’intervista a Enrico Berlinguer in cui il segretario del Pci affronta la “questione morale” e denuncia che “i partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela”.

L'appoggio al centrosinistra e i giudizi su Berlusconi

È in questo decennio che l’imprenditore Carlo De Benedetti acquisisce la Repubblica ed entra in conflitto con Silvio Berlusconi quando quest’ultimo si prende la Mondadori. Scalfari si schiera, fin da subito, contro il Cavaliere e vi rimarrà strenuo oppositore sino alla fine dei suoi giorni. Nel 1994, data d’inizio della Seconda Repubblica, sbaglia ogni previsione scrivendo che “Forza Italia è un partito di plastica che si scioglierà in pochi mesi”. Di Berlusconi scriverà peste e corna definendolo “un uomo di gomma laddove Mussolini si atteggiava a uomo di ferro”. Usa Repubblica per appoggiare i vari leader della sinistra che si susseguono nel tempo, privilegiando quelli più vicini all’area liberal come Walter Veltroni e Matteo Renzi piuttosto che Massimo D’Alema o Pier Luigi Bersani. Nel 1996 lascia la direzione del giornale ad Ezio Mauro ma continua a scrivere i suoi canonici e lunghissimi editoriali della domenica. In vista delle Politiche 2018, nel corso di un'intervista rilasciata al programma Di Martedì di Giovanni Floris, afferma di preferire Berlusconi a Luigi Di Maio, candidato del Movimento Cinquestelle. Una dichiarazione che lascia interdetto Carlo De Benedetti che, sempre su La 7 ma stavolta nel programma 8 e mezzo di Lilly Gruber, rivela: "Dopo che Scalfari ha fatto la sua stupidaggine in trasmissione, mi ha telefonato e mi ha detto: è finita la guerra, 'non ci sono più i comunisti, tu sei di sinistra io di destra, ma qui ci sono altri problemi per il Paese', ma io non faccio politica, ho risposto che non avevamo niente da dirci". E, poi, attacca l'ex direttore dopo l'editoriale non firmato dove si commentava la telefonata tra che ebbe con l’allora premier Matteo Renzi sulla riforma delle banche popolari:"Non voglio più commentare un signore molto anziano che - dice - non è più in grado di sostenere domande e risposte. Ha detto che se ne fotte delle mie critiche? Con me deve stare zitto, gli ho dato un pacco di miliardi, è un ingrato".

L'amicizia con Papa Francesco

Ateo convinto, negli ultimi anni della sua vita Scalfari è rimasto affascinato dalla figura di Papa Francesco che ha periodicamente intervistato su temi d’attualità quali l'immigrazione ma soprattutto su temi filosofici-religiosi. Scalfari ha raccontato che le persone a lui vicine iniziarono a prenderlo in giro prevedendo una sua imminente conversione. “Decisi di riferire il monito anche al Santo Padre. Lui-rivelò Scalfari - mi disse che, avendo capito i miei pensieri, la conversione sarebbe stata impossibile oltre che essere una scocciatura per lui. Mi disse che avrebbe dovuto trovare un altro me, perché lui voleva parlare con non credenti che apprezzano Gesù come uomo, non come Dio.

Così mi disse ‘mi raccomando, non si converta!'”.

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