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Conte in fuga da ogni problema. E il suo silenzio diventa debolezza

Quello che non è chiaro è se sia una scelta del tutto volontaria o, almeno in parte, imposta

Conte in fuga da ogni problema. E il suo silenzio diventa debolezza

Quello che non è chiaro è se sia una scelta del tutto volontaria o, almeno in parte, imposta. La decisione di Giuseppe Conte di inabissarsi quasi totalmente in queste ultime settimane, infatti, potrebbe essere non solo il frutto di una strategia consapevole per evitare di mettere la faccia su quello che rischia di essere un autunno caldissimo, ma anche il risultato di mesi di sovraesposizione che, confidano a Palazzo Chigi, lo hanno alla fine costretto a «staccare la spina» per qualche tempo, così da riprendersi da uno stato di affaticamento che lo stava lentamente logorando. Comunque sia, non c'è dubbio che il premier ha, nei fatti, scelto di chiamarsi fuori dalla mischia, abbandonando quella passerella mediatica che in molti gli avevano rinfacciato nei mesi passati. Sempre in prima fila con le conferenze stampa, non solo quelle serali con il Paese a pendere dalle sue labbra in attesa di indicazioni sull'emergenza Covid-19, ma pure quelle decisamente più bucoliche e superflue che hanno accompagnato quotidianamente la grande messinscena degli Stati generali.

Un cambio di passo notevole, su tutti i fronti. Che non può non dare l'impressione di un governo allo sbando mentre il suo premier è diventato improvvisamente afono. Ci può stare sul referendum, visto che Conte può comunque sostenere di volerne restare fuori per ragioni di opportunità istituzionale. Quello che colpisce è invece il silenzio sui temi caldi, dalla riaperture delle scuole al riaccendersi dei contagi. Due fronti centrali, lasciati, sotto il profilo della comunicazione, ai due ministri competenti. Passi per il titolare della Salute, Roberto Speranza, che in questi mesi si è comunque saputo districare nell'emergenza sanitaria più grave dal Dopoguerra ad oggi. E che proprio ieri il premier ha citato in un suo tweet, primo segno di vita in pubblico dopo settimane. Incredibile, invece, che a mettere la faccia sulla riapertura delle scuole - uno scoglio enorme - sia la ministra Lucia Azzolina, al centro delle polemiche da mesi e mesi ed ormai delegittimata anche all'interno della sua stessa maggioranza. Al punto che pure Conte in privato non fa mistero di considerarla «completamente inadeguata» e «assolutamente ingestibile». Perché, dunque, non provare a «coprirla» almeno mediaticamente?

La risposta potrebbe essere che il premier dà ormai per acquisito un discreto disastro sul fronte scuola - con polemiche e probabili chiusure a macchia di leopardo già a ottobre - e ha quindi deciso di non metterci la faccia. Eppure Conte tace su tutti i fronti, non solo su questo. Abbiamo detto dell'emergenza sanitaria, ma anche sul caos immigrazione la strada è quella del bassissimo profilo. E il fatto che, dopo giorni e giorni di grancassa, abbia deciso di convocare per domani a Palazzo Chigi il governatore della Sicilia, Nello Musumeci, e il sindaco di Lampedusa, Totò Martello, cambia poco. Non è un caso che il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese sia alquanto infastidita per essere stata abbandonata a se stessa proprio mentre sono ripresi gli sbarchi dei migranti sulle nostre coste. Stesso ragionamento per il decisivo dossier dei fondi europei, non solo quelli del Recovery Fund, ma anche quelli del Mes. Da Conte non una parola.

Un silenzio che rischia di trasformarsi in una gigantesca debolezza, perché tra la prima linea dei mesi passati - in molti casi eccessivamente accentratrice - e l'oblio di queste settimane esiste la giusta via di mezzo. Soprattutto con l'avvicinarsi di quelle che saranno due settimane chiave per i destini del governo, visto che nel giro di una decina di giorni ci saranno la temutissima riapertura delle scuole e le elezioni regionali (il 20 e 21 settembre). Un altro passaggio decisivo, soprattutto per il Pd e, di riflesso, per il premier. Se davvero, come sembra, Puglia e Marche sono destinate a cambiare colore e passare al centrodestra, la segreteria di Nicola Zingaretti rischia di finire sull'ottovolante. E se cadesse la «rossa» Toscana il contraccolpo sarebbe fatale.

Tutte partite che, almeno per il momento, il premier ha deciso - forse complice anche lo stress dei mesi scorsi - di non giocare.

Con il rischio che se andrà avanti su questa strada sarà lui stesso ad abdicare di fatto alla leadership che si era faticosamente conquistato in questo ultimo anno.

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