Coronavirus

Allarme rosso: gli inceneritori non ce la fanno. "Pericolo di infezioni dai rifiuti ospedalieri"

Il paradosso del sistema che li sterilizza: è italiano, ma in Italia non si usa

Allarme rosso: gli inceneritori non ce la fanno. "Pericolo di infezioni dai rifiuti ospedalieri"

Il virus Covid-19 viaggia anche attraverso i materiali. E materiali, nonché i liquidi, sono anche i rifiuti, soprattutto quelli a rischio infettivo. Quelli ospedalieri e quelli provenienti dalle zone rosse e da persone positive o in quarantena. Domanda: che fine vanno? Risposta: vengono bruciati nei termovalorizzatori. Aumentando il pericolo di diffusione del virus. Ecco perché.
In Italia esiste il Dpr 254/2003, che regola lo smaltimento in questione. «E i rifiuti ospedalieri spiega Paolo Tuccitto, manager specializzato che ha inventato il sistema di inertizzazione dell'amianto - hanno un trattamento a parte. Per intenderci: ogni anno le tonnellate smaltite sono centinaia di migliaia». Figuriamoci adesso. Il pericolo insomma è che gli impianti a cui vengono destinati siano già impossibilitati a gestire il traffico di materiale così pericoloso. Anche perché in Italia c'è solo un'azienda che se ne occupa: la Eco Eridania di Genova. Il cui presidente Andrea Giustini ha lanciato l'allarme: «Ci sono alcune Regioni che stanno attivando procedure pericolose, declassando le materie che provengono dalle abitazioni di soggetti positivi a rifiuti urbani. Il rischio è altissimo». In pratica: i prodotti di scarto a rischio infettivo aumentano in maniera esponenziale e vengono raccolti in maniera impropria. E in numero comunque insufficiente per la capienza degli inceneritori. Spiega ancora Tuccitto: «Ci sono impianti che si scambiano tonnellate di materiale da una regione all'altra. E c'è un inceneritore in Emilia che è stato chiuso per valori di legionella oltre i limiti. Eppure il sistema per aiutare lo smaltimento c'è, ed è più economico e pulito».
Ci sono altre aziende infatti impegnate in questo settore. E una di queste, la Newster che ha sede a Cerasolo di Coriano (Rimini), ha un brevetto made in Italy per macchine che distruggono tutti i tipi di materiale a rischio: solido, liquido e liquido da laboratorio (il più pericoloso in assoluto). Spiega l'amministratore unico Andrea Bascucci: «Il rifiuto ospedaliero non può restare più di 5 giorni nei cassonetti. Poi va portato via. Le nostre macchine italiane invece creano un prodotto sterile, ridotto di peso del 15% e di volume dell'80. E può restare nei container fino a 28 giorni. Per poi essere destinato al recupero energetico come combustibile».
Basterebbe averne in ogni ospedale: «La capienza va da 15 chili fino a 120/130. E il costo rifiuti passa da 1,7 a 0,5-0,6 euro al chilo». Qualcuno ha fatto i conti: per la Sanità italiana il risparmio stimato sarebbe di circa 300 milioni l'anno. «E c'è di più: analisi di laboratorio dimostrano che il composto ottenuto può essere mescolato al cemento per fini edili. Lo Zimbabwe ci ha già dato via libera». Già, perché Newster esporta la tecnologia in 50 Paesi del mondo. Ma non - e qui è il paradosso - in Italia e nelle nazioni evolute d'Europa. Conclude Tuccitto: «Se le zone rosse dovessero estendersi sarebbe il collasso. E se quei rifiuti si smaltiranno con quelli normali, si aggiungerà rischio a rischio: la produzione di diossina dell'aria».

Riceviamo e pubblichiamo

In relazione all’articolo dal titolo “Allarme rosso: gli inceneritori non ce la fanno. Pericolo di infezioni dai rifiuti ospedalieri” a firma Marco Lombardo pubblicato il 22 marzo, la società EcoEridania Spa, in persona del legale rappresentante dottor Andrea Giustini, prende le distanze dalle affermazioni del dottor Paolo Tuccitto, secondo le quali uno stabilimento in Emilia “sarebbe stato chiuso per valori di legionella oltre i limiti prestabiliti”. Gli impianti di Eco Eridania sono perfettamente in grado di gestire gli attuali (ma anche maggiori) flussi di rifiuti sanitari. L’allarme semmai lanciato, era riferito alla gestione “in deroga” dei rifiuti provenienti dalle abitazioni dei pazienti affetti da Covid 19.
Non esiste, pertanto, alcun allarme. Piuttosto vi è la necessità di far convogliare i rifiuti provenienti dal domicilio dei pazienti all’interno del circuito dei “rifiuti pericolosi infetti” ad oggi sufficientemente capiente. Le Ordinanze regionali, rischiano di mettere a repentaglio la salute pubblica, tendendo così a banalizzare il problema, senza pensare al conto che si verrebbe a pagare in caso di incidenti nelle fasi di raccolta non adeguate. Mai nessun impianto (sia esso di proprietà o in conduzione) di Eco Eridania o di altra società riconducibile al Gruppo, è stato mai chiuso per avere superato i limiti di legionella.

Avvocato Stefano Rossi

Prendiamo atto della vostra precisazione riguardo alle parole del Dottor Tuccitto, riferite alla notizia comparsa su alcuni media il giorno 1 dicembre 2019 del rilevamento di legionella oltre i limiti in due torri di raffreddamento del termovalorizzatore Mengozzi di Forlì (che a quanto risulta dal sito mengozzi.ecoeridania.it appartiene al 100% al gruppo Eco Eridania). Notizia confermata dall'On. Alberto Zolezzi in un'interpellanza parlamentare del 17 gennaio 2020 e dunque non riferibile come fonte al Dott Tuccitto. Per quanto ci riguarda nel nostro articolo abbiamo preso giustamente nota dell'allarme del Dr. Giustini riguardo all'errato metodo di raccolta dei rifiuti a rischio infettivo derivanti dall'emergenza in alcune regioni, e rilevato che esistono anche altri metodi in Italia che potrebbero aiutare lo smaltimento. Senza mettere in dubbio l'impegno e la professionalità del personale e dell'azienda Eco Eridania in questo delicato momento.

MLomb

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