Anatre e castagne È il piatto cinese che non ti aspetti

Così l'alta cucina sposa i sapori d'Oriente con la tradizione italiana. «Per battere gli stereotipi culinari»

Un proverbio del Drago recita: «Se un cinese mangia ogni giorno un piatto diverso per tutta la sua vita, non conoscerà comunque tutta la sua cucina». Ha (più che) un fondo di verità: recentemente, il China Daily in un pezzo in cui si sosteneva la necessità di codificare la cucina cinese ha parlato di circa 40mila ricette tradizionali, preparate nella Repubblica Popolare. Tante? È il caso di ricordare che la Cina ha un miliardo e 400mila abitanti, su una superficie grande 32 volte l'Italia, e comunque per smentire il proverbio (fate pure i conti) bisognerebbe vivere quasi 110 anni. Ne sono bastati solo un paio, invece, per smentire i luoghi comuni sulla cucina del Drago: merito di una dinamica coppia di imprenditori, Yike Weng e Chiara Wang Pei. Hanno aperto nel 2011 Bon Wei, elegante locale – il progetto è di Carlo Samarati - in via Castelvetro, diventato subito il numero uno a Milano per la qualità e l'ampiezza del menu dove a fianco di tutti i classici – perfetti nell'esecuzione – si trovano piatti di alta cucina. Yike e Chiara hanno raddoppiato un anno fa: con Dim Sum, in via Bixio, dove il cuore della proposta sono ravioli, involtini, polpettine e via di assaggino. Una piccola rivoluzione sotto la Madonnina dove, già negli anni '80, si contavano circa 400 locali ma quasi tutti impostati esclusivamente sul favorevole rapporto quantità-prezzo, talvolta ai limiti dell'incredibile: ambienti trascurati, gestione familiare, cuochi «strappati» realmente alla terra – originari quasi sempre del Guandong (la provincia di Canton) e dello Zhejiang - ingredienti di seconda e terza scelta. Oggi la situazione è cambiata: resistono – ahinoi – molti posti discutibili, non mancano quelli affidabili e poi appunto ci sono Bon Wei e Dim Sum. Nella loro «missione» di smentire i luoghi comuni – Dim Sum ha la cucina a vista, tra l'altro – la coppia ha creato un progetto inedito (e meritorio) con la Fondazione Italia-Cina, chiamato La grande tradizione gastronomica della cucina cinese. «Dopo aver abbattuto gli stereotipi sull'involtino primavera o il pollo alle mandorle, volevamo far capire che al pari dell'Italia dove la cucina lombarda ha specialità diverse da quella siciliana o toscana, in Cina la varietà è ancora superiore» spiegano i titolari. Il concept è semplice, curato da Guoquing Zhang, socio ed executive chef di entrambi i locali: una regione al mese è protagonista di una cena tematica dove un piatto simbolo della sua cucina viene accompagnato da altre pietanze tradizionali e «innaffiato» da italianissimi vini. Storie e leggende sui piatti sono spiegati dal professor Francesco Baggio Ferraris (docente di lingua e cultura cinese della Scuola di Formazione Permanente della Fondazione Italia-Cina) e successivamente vergati da Silvio Ferragino, esperto maestro calligrafo.

È un lungo percorso da acquolina in bocca: dopo il Guandong (piccione croccante al forno con aromi), ecco che il 26 gennaio sarà di scena il Sichuan (pollo freddo in salsa piccante) e a seguire lo Shandong (polpette di gamberi con sfilacci di capesante), il Fujan (anatra alle castagne), lo Jiangsu (polpette di carne di maiale trita con spezie stufate), lo Zheijang (filetto di cernia tricolore, reso sottile), lo Hunan (fettine di pesce di fiume in salsa di peperoncino marinato) e l'Anhui (involtini di stracetti di pollo disossato, legati con verdure). Basta una sola esperienza – culturale e gustativa – tra queste per «sotterrare» chiunque si azzardi a generalizzare sulla cucina cinese e i suoi piatti.

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