Madre natura non c’entra. E non è detto che le faccende domestiche siano un lavoro da donne. Anche agli uomini spetta il risarcimento per danno patrimoniale se, causa infortunio, non possono aiutare la moglie nel menage casalingo. Per le assicurazioni è un brutto colpo, ma la Cassazione è stata inflessibile sul concetto di «par condicio» e ha cancellato la sentenza della Corte d’appello di Venezia che si potrebbe definire di stampo ottocentesco, visto che afferma: «Non rientra nell’ordine naturale delle cose che il lavoro domestico venga svolto da un uomo». Per la Terza sezione civile,presidente Alfonso Amatucci e relatore della sentenza 24471 Marco Rossetti, una tesi del genere «è contraria al fondamentale principio giuridico di parità e pari contribuzione dei coniugi ai bisogni della famiglia». Principio al quale, «in mancanza di prove contrarie», «è ragionevole presumere che i cittadini conformino la propria vita familiare».
Insomma, bisogna presumere che in casa ognuno dei coniugi faccia la sua parte, quantomeno «per le sue personali esigenze» . Ha avuto dunque ragione il signor Augusto P. , 52 anni, che in un incidente stradale aveva riportato la frattura scomposta del bacino, commozione cerebrale e distorsione del ginocchio. Immobilizzato dal novembre 2001 al settembre 2003, oltre ai danni alla sua attività lavorativa, aveva chiesto all’assicurazione di risarcire anche «la perduta possibilità di attendere alle occupazioni domestiche». Ma questo tipo di danni gli erano stati negati dai giudici di merito. Anche alla moglie Cinzia B. erano stati negati i danni perchè non sarebbe stata in grado di dimostrare che il doversi occupare del marito infortunato e dei figli le impedisse «completamente» di occuparsi anche della casa. I coniugi hanno fatto ricorso in Cassazione e hanno vinto su entrambi i fronti e i Supremi giudici hanno particolarmente bacchettato con l’accusa di «illogicità» i colleghi per aver negato che possa esistere il ruolo del «casalingo». «La prima ragione di illogicità - scrive il relatore Rossetti - è che non è certo madre natura a stabilire i criteri di riparto delle incombenze domestiche tra i coniugi. Tale riparto è ovviamente frutto di scelte soggettive e di costumi sociali, le une e gli altri nemmeno presi in considerazione dalla Corte d’appello».
Aggiunge la Cassazione, che ha disposto un appello bis per la coppia veneziana: «L’affermazione della Corte d’appello è contraria al fondamentale principio giuridico di parità e pari contribuzione dei coniugi ai bisogni della famiglia», come sancito dall’art. 143 del codice civile. Il terzo motivo di bocciatura per la Corte d’appello è questo: in base a quello che accade nella maggior parte dei casi, «qualunque persona non può fare a meno di occuparsi di una certa aliquota del lavoro domestico: non fosse altro per quanto attiene le proprie personali esigenze». La Cassazione ha anche riconosciuto giusta la tesi della moglie che «la forzata rinuncia alle occupazioni domestiche, a causa di un infortunio, è un pregiudizio che può riverberare effetti tanto sul piano non patrimoniale quanto su quello patrimoniale». Ad esempio, essere costretti a pagare una persona cui affidare le incombenze di cui prima si occupavano i coniugi. Insomma, vittoria su tutta la linea. E ora la Corte d’appello di Venezia dovrà pronunciarsi di nuovo, stabilendo l’equo indennizzo sia per Augusto che per Cinzia.
Rivedendo un a dir poco superato concetto di Madre natura. Perchè così ha deciso la Cassazione , «a prescindere da qualsiasi considerazione circa l’esistenza o meno d’un ordine “naturale“ delle cose: felix qui potuit rerum cognoscere causas», come scrive il relatore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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