Tra sette giorni in Lombardia e Veneto si vota per il referendum che chiede di allargare le autonomie, soprattutto fiscali, delle due regioni. C'è un fronte del sì convinto, quello di Forza Italia e Lega, uno tiepido (il Pd) e qualche svogliato contrario in ordine sparso (la Meloni, i dalemiani e altri spicchi della sinistra). La partita non si gioca quindi tra i sì (netta maggioranza) e i no, ma sul livello di affluenza (in Veneto serve che voti la metà più uno degli aventi diritto, in Lombardia no). È una delle rare volte nelle quali i cittadini sono chiamati a votare per qualche cosa e non anche contro qualcuno, come per esempio all'ultimo referendum sulla riforma del Senato che si trasformò in un referendum su Renzi premier. Sarà insomma una prova di maturità politica che nelle ultime ore qualcuno sta cercando di smorzare e avvelenare, evocando da un lato lo spettro di una Catalogna, dall'altro il rischio di indebolire il già malconcio Sud Italia.
In realtà, se approvati, i referendum non provocheranno nessun effetto automatico. Semplicemente permetteranno ai governatori delle due regioni di aprire una trattativa con lo Stato centrale per trattenere sul territorio qualche euro (di tasse) in più dei tanti, tantissimi, che oggi vengono bloccati a Roma, dove si disperdono in mille e a volte misteriosi rivoli. Non c'è nulla di egoista in questo, anzi. Se la locomotiva del Paese (il Nord) riuscisse a rafforzarsi e a correre ancora più forte ne avrebbero vantaggio tutte le carrozze trainate. Un euro investito dove può fruttare velocemente - in Lombardia e in Veneto ciò mediamente accade - non può che portare benefici ovunque, come del resto è sempre successo.
Per quanto riguarda il «rischio Catalogna» viene da sorridere. A differenza dei catalani, i lombardi - non me ne voglia Maroni - non sono mai stati un popolo, tantomeno sono un popolo oppresso nella sua identità. È più probabile che un bresciano faccia guerra a un bergamasco, i lecchesi ai comaschi e gli interisti ai milanisti che tutti insieme scendano in piazza contro i romani (pure i cattolici - fatto unico nelle regioni italiane - hanno riti diversi).
Domenica prossima è quindi bene andare alle urne senza timore. Per fare una Brexit non basta un referendum, ci vogliono gli inglesi e una regina.
Ma per migliorare un po' il nostro Paese (tutto), questo voto può servire davvero.Ps: da domani Vittorio Sgarbi si riprende questa prima pagina con la sua storica rubrica giornaliera «Sgarbi quotidiani». Mi tremano i polsi, ma sono certo di potergli dare a nome di tutti voi un sincero bentornato.
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