Appalti truccati, cinque arresti. E Marino scarica il Pd romano

Pure la visita di Napolitano usata per accelerare le pratiche. Il sindaco: mi ostacolavano. Blitz per sostituire i consiglieri arrestati. Protesta M5S

Appalti truccati, cinque arresti. E Marino scarica il Pd romano

Fosse ancora vivo, finirebbe in manette lo stesso Giulio Cesare. L'ultima tornata di arresti della Guardia di Finanza mostra come i protagonisti di Mafia Capitale fossero in grado di arrivare nel cuore delle istituzioni politiche romane: i cinque arresti sono scattati perché, tra i vari affari dell'imprenditore Fabrizio Amore, c'era il restauro dell'aula «Giulio Cesare» del Campidoglio, proprio quella dove si riunisce il Consiglio comunale: un simbolo storico della politica cittadina.

La notizia è arrivata proprio a poche ore da una seduta dell'assise cittadina, convocata per sostituire i consiglieri arrestati nelle scorse settimane offrendo l'occasione per una dura contestazione alla giunta Marino. Prima dell'inizio della seduta, intorno al Palazzo Senatorio si è radunata una folla inferocita. A trainare la protesta Casa Pound e Movimento5Stelle, ma anche esponenti dell'opposizione di centrodestra, più i comitati di Casale San Nicola, dove il Comune vorrebbe piazzare altri cento profughi. Uno di loro ha inveito contro il vicesindaco Luigi Nieri: «Vogliamo sapere quali sono gli interessi del vicesindaco a Casale San Nicola», mentre tutti chiedevano a Marino di andarsene. Alla fine la polizia ha dovuto frapporsi e l'ingresso dell'aula è stato sbarrato, per a votare in tutta fretta la surroga degli arrestati Massimo Caprari (Centro democratico), Mirko Coratti (Pd), Pierpaolo Pedetti (Pd) e Giordano Tredicine (Pdl) con affidamento della supplenza delle funzioni a Daniele Parrucci (Cd), Liliana Mannocchi (Pd), Cecilia Fannunza (Pd) e Alessandro Cochi (Pdl).

Marino e i suoi sono sempre più sotto assedio, tanto che il presidente del Pd Matteo Orfini è battuto in ritirata, cancellando l'intervento alla presentazione di un libro, pur se tra le mura amiche di un circolo Pd. E lo stesso Marino ieri in tv, a La7, ha accusato il Pd romano: «Mi hanno ostacolato fin dall'inizio i capibastone del Pd romano, ma con la mia giunta non hanno toccato palla». A rincarare la dose il suo capogruppo in consiglio comunale, Fabrizio Panecaldo: «Se qualcuno mi chiedesse se adesso voterei il Pd probabilmente anche io avrei qualche dubbio da cittadino».

Da una parte la rabbia dei romani, dall'altra le manette. E il ritornello «colpa di Alemanno» non regge, l'appalto per il restauro della sala risale alla precedente giunta ma l'imprenditore Fabrizio Amore è tra i finanziatori di Pierpaolo Pedetti, esponente di peso del Pd laziale finito in manette perché accusato di essere una pedina del sistema Buzzi-Carminati. Lo stesso Amore era sfuggito alle manette per una cautela del gip.

Col senno di poi diventa imbarazzante il taglio del nastro della sala capitolina restaurata a opera dell'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La cui visita fu addirittura usata come scusa per imboccare scorciatoie nella gara d'appalto per il restauro. Amore, secondo le carte dell'inchiesta delle Fiamme gialle, poteva contare per questi favori su Maurizio Anastasi, alto dirigente della Sovrintendenza capitolina ai beni culturali e sul suo «assoluto dispregio per la pubblica funzione svolta unitamente a una notevole spregiudicatezza e noncuranza per le regole».

Dagli accertamenti dell'inchiesta «Domus pubblica» è emerso come Amore fosse talmente sicuro dell'aggiudicazione della gara da aver stipulato «contratti ed effettuato pagamenti in acconto ai subappaltatori alcuni giorni prima dell'apertura delle buste contenenti le offerte».

Oltretutto, l'inchiesta ha trovato traccia di un sofisticato sistema di società costruito per evitare di pagare le tasse sugli appalti aggiudicatisi da Amore.

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