"Attente, il rischio più grande è quello di perdere i propri figli"

Il 73% delle unioni tra cattolici e musulmani falliscono in tempi brevi a causa delle barriere culturali

"Attente, il rischio più grande è quello di perdere i propri figli"

«Serve un codice comportamentale da osservare e da insegnare. Bisogna vincolare le persone di culture e fedi religiose diverse a seguire specifici corsi prematrimoniali per educare i futuri coniugi al mutuo rispetto delle differenze culturali e religiose. E con questa premessa tengo a specificare che sono favorevole ai matrimoni misti ma bisogna evitare i cortocircuiti delle facili unioni». È Gian Ettore Gassani a parlare. Avvocato matrimonialista del Foro di Roma, autore di parecchi saggi sul tema coniugale nonché attento conoscitore dell'ampia casistica divorzile.
Avvocato Gassani, il 73% dei matrimoni tra uomini di fede islamica e donne italiane di fede cattolica fallisce. Per quale motivo?
«La profonda differenza culturale che viene fuori subito dopo il matrimonio. Seppure lo sposo prima delle nozze è pieno di effusioni e apprezza appieno il comportamento aperto e gaio della donna, ammira il modo di vestire alla moda, concede alla fidanzata che incontri amici e amiche senza alcuna remora subito dopo il matrimonio tutto cambia. La donna diventa di sua proprietà e le impone la propria cultura e il proprio modo di essere: è simbolico il fatto che la donna non dovrebbe possedere le chiavi di casa».

E la moglie accetta queste imposizioni senza alcuna difficoltà?
«All'inizio sì, non c'è ribellione. C'è l'amore. Sceglie di vestirsi in maniera meno appariscente, di adeguare la propria alimentazione e il proprio comportamento pur di compiacere il proprio compagno. Il fiorire di negozi di artigianato tradizionale musulmano, di alimentari e soprattutto di macellerie ne è la conferma».

Poi che succede?
«Questo rapporto così repressivo nella stragrande maggioranza dei casi dura non più di tre anni. È sempre la donna italiana a chiedere la separazione e poi il divorzio per divergenze culturali e religiose. Nel 50 per cento le separazioni sono giudiziali. È vero che il divorzio breve accelera i tempi. Ma in media ci vogliono 4 anni per sciogliere il matrimonio. I motivi sono riferiti alla mancata integrazione dell'uomo musulmano o medio-orientale agli usi e costumi della moglie».

E l'affido dei figli è così problematico come tante volte hanno riportato i fatti di cronaca?
«Non dimentichiamo che i figli per la cultura musulmana fino a sette anni sono del padre. Abbiamo assistito alla disperazione di madri che hanno perso i loro figli perché l'ex marito li ha portati nel Paese natio. Tranne il Marocco, i Paesi del nord Africa non hanno firmato la convenzione dell'Aja. E nel caso di sottrazione del minore noi avvocati non possiamo fare nulla per rivendicare il diritto genitoriale della madre. Ecco perché tengo a dire che serve un'informazione dettagliata sulle differenze culturali. Noi avvocati ci arricchiamo con i tanti divorzi, ma dobbiamo tenere presente che un divorzio è un fallimento per la società».

Ma qual è l'identikit della donna italiana che sposa un musulmano?
«Non c'è un identikit. Appartengono a tutte le categorie possibili. Non ci sono distinzioni di scolarizzazione, posizione sociale o lavorativa.

L'età media è sui 33 anni. E sempre più spesso i coniugi sono coetanei. Può accadere che sia una profonda delusione affettiva a innescare la miccia di un rapporto con un cittadino straniero e indurre poi la donna a sposarlo».

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