Avanzo, la primadonna dei motori che incantò Ferrari e Hemigwyay

Soprannominata la Baronessa, zia di Roberto Rossellini, fu la prima donna pilota a misurarsi con gli uomini. I suoi incontri con Modigliani, gli scontri con D'Annunzio, l'amicizia con Mussolini. Generosa, sorridente e spericolata anche nella vita

Avanzo, la primadonna dei motori  che incantò Ferrari e Hemigwyay

Lo guardava con desiderio da giorni, bello e impossibile, riposare nel sottoportici della villa di campagna di famiglia ma non aveva il coraggio di avvicinarsi. Forse perché sapeva che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. Così, un pomeriggio di primavera, dopo giorni di tormenti e di sospiri, si decise a fare quello che non doveva. Maria Antonietta si assicurò che in giro non ci fosse nessuno, prese il coraggio a due mani e andò da lui, un magnifico doppio Phaiton alto un metro e mezzo dai cuscini spelacchiati «che accoglieva maternamente il placido sonno di un cane barbone»: la macchina di papà.

Saltò a bordo, «m’ingegnai a girare la manovella ed il mastodonte impermalito, a scosse e sussulti, a sobbalzi prese la scena e... si sarà salvato chi avrà potuto». Aveva solo 13 anni e non aveva la minima idea di come si guidasse un’automobile. Mise la prima senza cambiare mai marcia, come dentro una botte lanciata giù per la discesa, e si fermò solo, per inerzia, dopo aver sentito un botto e delle urla spaventate: era il sindaco di Contarina, il suo paese, Adolfo Girotto, gli era passata sopra un piede e glielo aveva rotto. Di certo poteva anche scansarsi. Tornò a casa con papà che masticava parole che non si possono dire, a bordo di un carro trainato da buoi. La cosa invece di spaventarla l’aveva gasata: la corsa era appena cominciata.

Maria Antonietta Avanzo l’Indomita, come l’ha ribattezzata il suo biografo Luca Malin, primadonna dei motori, prima donna a correre con gli uomini e contro gli uomini, prima donna a sfidare le convenzioni di regime e i pregiudizi dell’epoca, simbolo di libertà e di emancipazione, faceva tutto seguendo un istinto.

Di cognome fa Bellan e i suoi sono ricchi proprietari terrieri. Ha una sorella, Elettra, che non potrebbe essere più diversa. Una è bionda, delicata, timida, un po’ miope. L’altra è mora, irrequieta, sempre in movimento. Quando Elettra rischia di perdere il bambino che aspetta per colpa della Spagnola, fa un bizzarro voto al Padreterno: se fai vivere il mio bambino non indosserò mai più abiti colorati. Il bambino vive: si chiama Roberto Rossellini, diventerà un grande regista, il padre del neorealismo, sposerà un’attrice svedese di nome Ingrid Bergman e guiderà auto sportive, soprattutto Ferrari. Ma questo per colpa della zia. Elettra vestirà sempre di bianco e di nero. Come una bandiera a scacchi.

Maria Antonietta invece ha tutto un altro look. Racconta il nipote Renzo Rossellini: «Fu lei la prima a tornare da Parigi, negli anni Venti, con i capelli alla garcon, tagliati a maschietto come le prime suffragette, fu lei la prima a portare le gonne sopra il ginocchio». Adorava gli abiti sgargianti e le mise alla moda. Le piaceva soprattutto il rosso. Il mondo dei motori all’inizio la guarda storto: «Ero la donna fenomeno, l’emula di Consul, la scimmia prodigio. Al mio passaggio vedevo la gente saltare sul marciapiede per mettersi al sicuro». Poi, piano piano, non lo fanno più.

Novant’anni fa giusti corre la sua prima gara, il giro del Lazio. Non lo finisce per un guasto, ma fa niente. Arriva invece seconda al Gran Premio Gentleman di Brescia. Enzo Ferrari ne resta folgorato. Corre la Mille Miglia, la Targa Florio, Indianapolis, che allora valevano come i gran premi di oggi, è talmente spericolata che Tazio Nuvolari, che in una gara la batte per un soffio, la prende in squadra con lui. Guida le Alfa Romeo, le Maserati, le Ferrari. In pista è un demonio. Nella Coppa d’Inverno, dove sale per la prima volta sul podio, non si ferma nemmeno quando ad una curva a gomito il suo copilota Nik Rodes finisce sparato dentro una scarpata. Sull’isola di Fanø, in Danimarca, la sua Packard 299, che non ha i freni anteriori, prende improvvisamente fuoco: non perde tempo per spegnere le fiamme, si lancia in mare a centottanta all’ora Non si fa nemmeno un graffio.

Alla Targa Florio un giovane Enzo Ferrari, sempre lui, le smonta nottetempo dalla Alfa il carburatore per sostituirlo con il suo difettoso. Un capomafia del posto, invaghito di lei, le promette il cuore del Drake su un piatto d’argento per vendicare l’offesa. Fortuna che lei dice di no. Bella, colta e scandalosa «creatura senza sonno, senza paura e senza pregiudizi», fa innamorare la Gazzetta dello sport di quell’«aperto e candido sorriso di donna, sormontato da un vermiglio palpito di veli al vento, tra i rombi d’altra battaglia: è lei la virago nuova e vera del Ventesimo secolo».

Negli anni Trenta gli italiani sono poco più di 40 milioni, più della metà sono donne, ma nessuna ha diritto di voto, il venti per cento non sa leggere e scrivere. Va forte la Balilla appena nata, tre marce, 85 chilometri l’ora consumo minimo, prezzo 10.800 lire quando l’italiano sogna mille lire al mese di stipendio. Il regime esalta il ruolo di moglie e madre della donna e considera contro natura la parità. Lei però non è come tutte e per tutte lei è un’apripista, la prova che le donne, invece, possono essere anche meglio degli uomini.

È popolarissima in tutto il mondo. Un giorno le si presenta davanti un giovane cronista del Toronto Daily Star. Alla fine dell’intervista Maria Antonietta gli dice: «Lei è l’unico giornalista che non mi ha chiesto che profumo uso o che marca di calze indosso che sono le domande che fanno alle donne. Lei è un ragazzo intelligente, farà una grandissima carriera». Il giornalista si chiama Ernest Hemingway.

Frequenta il belmondo e il belmondo è a i suoi piedi. Va a pesca con Pietro Mascagni, Mussolini la considera un’amica e una consigliera, D’Annunzio la inonda di lettere. La chiama: Nerissa senza rimedio, Corritrice demoniaca, Perfida Biribissa. Quando corre le attacca amuleti all’automobile, bandierine di Fiume, teschi legati al tappo del radiatore. Lei, ma per sbaglio, gli uccide, l’adorata tartarughina. Forse andava troppo piano per i suoi gusti. A volte è ingenua, ma di buon cuore, fino al paradosso. A Parigi si intenerisce per un pittore italiano come lei «magro, poverino, morto di fame e malaticcio». Gli compra una quadro ma non gli piace e lo regala alla cameriera dell’albergo. È il ritratto di una donna dal collo esageratamente lungo. È firmato Amedeo Modigliani.

Eustachio Avanzo, che sbaraglia tutti i pretendenti e diventa suo marito per festeggiare la fine della guerra le regala una Spa 35/50 Sport, ma quando lei scopre il suo tradimento scappa in Australia con i due figli. Con loro gira il mondo, diventa business woman, apre una fattoria, poi torna in Italia. E riprende a correre. Vuole costruire una macchina tutta sua ma non trova i soldi. Per consolarsi prende il brevetto di pilota di aereo. Non smette di essere spericolata anche nei momenti più tragici. Salva la vita di Luchino Visconti, suo parente acquisito, dalle mani della crudele banda di torturatori neri di Pietro Koch, che semina il terrore a Milano, persino a una certa età, 67 anni per la precisione, non rinuncia ad essere se stessa: fa la spola con la jeep fino al confine austroungarico per portare in salvo i profughi in fuga dall’Ungheria, le vittime della repressione sovietica. Di Anna Magnani è complice a amica: almeno fino a quando non esplode la love story tra il nipote Roberto Rossellini e Ingrid Bergman che mette fine alla sua relazione. Non smette maidi provocare, non perde mai l’ironia, non rinuncia a se stessa nemmeno quando scopre che il tempo corre comunque più veloce di lei.

A settant’anni compiuti, un vigile la ferma mentre sfreccia a tutta velocità in viale Parioli a bordo della sua Giulietta.

«Mi perdoni, signora, a che velocità sta andando?», le chiede. «Se la mia auto viaggia a 180, io vado a 180». Jack Kerouac scriveva la sintesi di una vita perfetta: «Una macchina veloce, l’orizzonte lontano e una donna da amare alla fine della strada».

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