Baglioni & C. conquistano un italiano su 2

Baglioni & C.  conquistano un italiano su 2

Nessuno vede Sanremo. Fino al momento in cui parte la sigla del Festival. L'italiano bluffa, finge di essere superiore alle canzonette, poi sistema le sedie in salotto, riassetta il divano e si accomoda davanti al televisore. Sanremo è la messa cantata, in tutti i sensi. Entrato come sacrestano, Claudio Baglioni è già cardinale, il Festival rivisto e corretto, è uguale, sempre e da sempre, a se stesso, riunisce generazioni, raduna donne ingioiellate pazze di Favino, uomini datati che sbirciano la scollatura della Michelle, ragazzine estasiate per i Kolors.

Poi spunta il fuoriclasse, voluto dal sacrestano già cardinale, e allora la parrocchia diventa teatro, la rassegna si trasforma in spettacolo, Rosario Tindaro Fiorello è come la lava dell'Etna, un'eruzione di parole e di idee immediate, senza scrittura, canta, balla, imita, allude, insinua, coinvolge, non travolge, non tracima, affronta l'invasore come si trattasse di un normale ospite sul palco. Claudio Baglioni se lo gode, avendo avuto lui il coraggio e il merito di invitarlo nel tempio, facendosi prima da parte e, poi, condividendone lo spirito improvviso, imprevedibile, goliardico e geniale. Fiorello resta da sempre l'animatore della sua giovinezza, il suo villaggio, oggi, è quello della radio e della televisione, dovunque si appalesi il risultato è identico, l'ascolto cresce, il divertimento anche. E contagioso, perché Favino da emozionato valletto si fa attore e poi «fiorelleggia», essendone dotato eccome, Michelle Hunziker, patentata a Striscia, partecipa attivamente accettando lo scherzo, Baglioni si scrolla di dosso la polvere e rientra nel gioco. Il colore, da grigio, si fa più vivo, l'ascolto, lungo le quattro ore, resta alto, il pubblico dell'Ariston si riscopre attivo, su le mani e giù le mani, come al club estivo, in spiaggia, è festa nazionalpopolare, ma tant'è, questo il popolo chiede, questo la televisione sa fare, questo dovrebbe essere il Festival, consegnandosi a un professionista nel ruolo di direttore artistico e lasciando a un altro showman il mazzo di carte del prestigiatore, per divertirsi e divertire.

Tutto normale, tutto semplice, per questo difficile da realizzare, senza elucubrazioni e fumi politici, senza pistolotti moraleggianti di parte, senza volgarità spacciate per libera satira.

Mentre Fiorello recitava la sua parte, in contemporanea, su La7, Gene Gnocchi esibiva il suo consueto show clownesco, con le solite allusioni faziose e il tono fintamente serioso. Differenti modi di far ridere e di essere ridicoli.

Ora si aspetta sabato, non soltanto per il verdetto, per la festa della

canzone migliore, dell'interprete vincitore. Si aspetta sabato per rivedere Fiorello e chiudere la festa e il Festival, cinque sere di nostalgia infantile, di un tempo che fugge in fretta e che, ogni anno, vorremmo fermare.

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