Ha aspettato il giovedì pomeriggio: il giorno in cui il fisco non è più solo una successione di numerie tabelle che ti strozzano, ma uffici aperti al pubblico e facce che dialogano con i cittadini. Poi è entrato come si entra in banca per una rapina. Ma lui, l’uomo sui cinquant’anni che ha seminato il terrore a Romano di Lombardia, angolo quieto e operoso della provincia di Bergamo, la rapina era convinto di averla giù subita ad opera dello Stato.
Forte della sua disperazione si presenta davanti alla sede dell’Agenzia delle entrate con un fucile a pompa, esplode un paio di colpi in aria, invita la gente a uscire pronunciando una frase vagamente alla Robin Hood. «Fuori tutti quelli che devono pagare». Quindi si barrica all’interno prendendo in ostaggio una quindicina di impiegati. E grida ancora: «Sono disperato, o mi uccido o faccio una strage».Inizia così una giornata interminabile e cupa, con le trattative in bilico per ore, mentre l’Italia scopre una nuova dimensione antropologica: dopo i disperati che si danno fuoco davanti all’Agenzia delle entrate, dopo gli imprenditori che si suicidano perché il cappio dei debiti è troppo stretto, dopo i pacchi bomba recapitati ad Equitalia, ecco venire allo scoperto una figura inedita, ma dai tratti inquietanti, il reduce, sommerso dalle cartelle di Equitalia, in guerra con il fisco.
«Non voglio niente - spiega ad un vice brigadiere dei carabinieri che si infila in quei locali per parlamentare - voglio solo incontrare i giornalisti per raccontare la mia storia». Una vicenda che in quel momento nessuno conosce con precisione, ma tutti possono immaginare, sia pure a grandi linee: quella di un piccolo imprenditore della zona con un passato nel business delle pulizie e un presente precario da imbianchino, messo in ginocchio dalle difficoltà. Seguite dalla solita umiliante trafila: gli esattori di Equitalia che bussano alla porta, presentano il conto delle disavventure, cominciano a sequestrare e bloccare i beni. E allora Luigi Martinelli, si chiama così, perso per perso, decide di rendere pubbliche le proprie peripezie e accende di forza i riflettori dei media che ormai con cadenza quotidiana descrivono parabole umane e finanziarie in fotocopia, come favole al contrario: l’inizio più o meno promettente, il finale drammatico. Nel suo caso acuito dall’età: 54 anni, peggio di una condanna.
A Romano si capisce in fretta che un margine per trattare c’è. E infatti in tempi rapidi quattordici ostaggi su quindici vengono liberati; in balia di quel fucile da film della mala resta solo un impiegato cinquantaseienne, una vita al servizio dell’erario: Carmine Mormandi. Lui no, non se ne può andare, prima l’aggressore vuole il suo bottino fatto di pubblicità. Prima la disgrazia deve diventare di dominio pubblico, perché forse in fondo alla follia c’è l’idea che la prima forma di giustizia sia trasformare un inseguimento privato in una notizia da prima pagina. La compagna di Mormandi, una ragazza ucraina, è in tabaccheria quando, poco prima delle 16, scatta l’irruzione. Corre, come altri, a vedere cosa sta accadendo e scopre che il suo uomo rischia la vita là dentro. Tetyana prova a comunicare via sms, Mormandi risponde con due parole rassicuranti: «Sto bene». Intanto la palazzina, che ospita l'Agenzia ma anche appartamenti, si svuota. Scappa da casa una mamma che tiene per mano il bimbo di due anni, fuggono gli abitanti. Il pomeriggio si complica, la trattativa si allunga, la resa si allontana e verso sera a Romano atterrano due elicotteri partiti da Livorno che trasportano le teste di cuoio dell’Arma,i ragazzi del Gis.Si profila un blitz? Non ce n’è bisogno.Alle 21 Mormandi è libero, sotto choc, ma salvo.
Dentro, la mediazione ha avuto successo: il vice brigadiere Roberto Lorini e un carabiniere del Gis hanno convinto l’uomo a ragionare, Martinelli viene portato in caserma. Gli trovano anche due pistole. Lui, però, addosso sentiva solo i debiti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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