Macabro a dirsi, ma per Giuseppe Conte l'emergenza Covid-19 è ormai diventata una sorta di toccasana contro le continue divergenze che accompagnano la difficile convivenza tra M5s e Pd. Così, dopo una settimana di divisioni su tutti i fronti nonostante una tornata elettorale decisamente sopra le aspettative per i partiti della maggioranza, il governo riesce finalmente a ricompattarsi solo grazie al riproporsi dell'emergenza sanitaria. Se sui dossier chiave per il Paese non c'è infatti modo di trovare una sintesi, sulla richiesta di prorogare lo stato di emergenza al 31 gennaio M5s e Pd si ritrovano più uniti che mai. E mettono persino il turbo.
L'annuncio del premier arriva a metà mattina e a stretto giro gli fa eco il ministro della Salute Roberto Speranza che già martedì sarà nell'aula del Senato per formalizzare in Parlamento la richiesta della proroga. Una tempistica insolitamente celere per un esecutivo sempre pronto a temporeggiare su tutti i fronti: dal Recovery fund al Mes, passando per Alitalia, Aspi (a ormai oltre due anni dalla caduta del ponte Morandi e dall'annunciata revoca della concessione ad Atlantia) oppure per le riforme di fisco e giustizia, fino ad arrivare alla legge elettorale. Tutti dossier di fatto paralizzati.
Si corre invece, per chiedere la proroga dello stato d'emergenza. E, purtroppo, viene il sospetto che la ragione di tanta fretta non sia solo nella preoccupante risalita della curva dei contagi. Conte, infatti, mette nero su bianco le sue intenzioni senza che il governo abbia ancora richiesto formalmente un parere al Comitato tecnico scientifico. Questione di forma e non di sostanza, si dirà. Perché il Cts è d'accordo con il premier sull'opportunità di proroga. Ma in certi casi anche l'abito ha la sua importanza, soprattutto dopo le tante polemiche che ci sono state nei mesi scorsi sui «pieni poteri» del premier. Che, forse, avrebbe potuto muoversi con fare più cauto, magari avvertire prima un'opposizione che viene tenuta a distanza anche sulle questione di interesse nazionale.
La verità è che, politicamente parlando, il Covid è la grande panacea di una maggioranza riottosa al punto di non riuscire ad andare neanche all'incasso di una tornata elettorale decisamente sopra le sue aspettative. Così Conte corre a portare a casa la cambiale che gli permetterà di continuare a governare a colpi di Dpcm senza aprire sul punto un dibattito degno di questo nome. E questo nonostante l'Italia sia l'unico Paese dell'Ue dove ancora oggi - doveva scadere il 15 ottobre - vige lo «stato di emergenza» e sia, peraltro, uno dei pochi dove le proroghe non sono a scadenza mensile o bimestrale. Insomma, senza mettere in discussione la necessità di utilizzare tutti gli strumenti giuridici utili a combattere la preoccupante impennata dei contagi, è quantomeno curioso che ciò che a luglio scorso è stato oggetto di un confronto in Parlamento oggi sia dato per acquisito senza colpo ferire. E, forse, nasconde l'affanno di voler trovare a tutti i costi un elemento unificante, un nemico da combattere tutti insieme per superare le divisioni e le discussioni che stanno sempre più diventando l'elemento caratterizzante di questa maggioranza. Un sospetto rafforzato proprio dalle mosse di Conte, uno che quando vuole sa bene come utilizzare i guanti di velluto. E che ieri non lo ha fatto, forse anche per forzare la mano e costringere all'angolo l'opposizione su un tema dove i margini di manovra sono effettivamente risicati.
D'altra parte, a Palazzo Chigi sono ben consapevoli di quanto la gestione dell'emergenza Covid - con i Dpcm e le conferenze stampa serali in pieno lockdown - abbia favorito la crescita del gradimento dell'autoproclamato «avvocato del popolo». Ed è quindi nelle cose che al premier non dispiaccia giocare nuovamente sullo stesso campo di gioco.
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