Buona Pasqua per non dimenticare una settimana santa e insanguinata

Quest'anno il top della religiosità in Italia si è manifestato venerdì sera, inizio del triduo pasquale, culmine di una settimana santa inondata dal sangue di Bruxelles. In tv (che è lo specchio della vita, la finestra sulla realtà) gli italiani a Gesù col Papa, hanno preferito tettone e culetti con Bonolis. Gli autori evangelici Matteo, Marco e colleghi, sceneggiatori un po' rétro, sono stati surclassati da chi scrive i testi per Luca Laurenti. La trasmissione (...)(...) Ciao Darwin: opportunamente programmata in coincidenza con la tragedia del Calvario in diretta dal Colosseo, ha meritatamente stravinto. 27 per cento di spettatori (share) contro 18,5. Un calo vertiginosoper la Via Crucis: in tre anni il 35 per cento di telespettatori in meno, nonostante una regia raffinata.Nessuno scandalo. Per carità, nessuno dia colpa al Papa di essere incapace di comunicare. Il fatto è che per noi italiani ormai la speranza sta lì: nella dimenticanza. Mentre il Venerdì Santo è memoria. Vogliamo la Pasqua, ma non sopportiamo la notte che la precede, abbiamo bisogno di ingrassare la nostra vita di risate farcite di lepidezze. Vogliamo distrarci. Ma in questo modo perdiamo l'essenza della Pasqua, il suo colore che ha lo sguardo del Cristo Risorto di Piero della Francesca che non arriva come una fata, ma ha ribaltato il destino, attraversando gli sputi, le cadute, i chiodi, il tradimento, soprattutto il tradimento. Non è un mito la passione, non è la Pasqua. La Via Crucis ci dice che è un racconto storico, che però dura adesso. E la Via Crucis ha un finale di gloria. Puoi non crederci. Ma non puoi dire: è impossibile. Invece vogliamo dimenticare. Eppure come è bello che qualcuno ci dica «buona Pasqua», tenendo dentro questa parola tutto, non solo la superficialità dei ciclamini e le rondini vezzose, ma la profondità del dolore che però acquista un significato e trova la carezza di Dio. Buona Pasqua. È una convenzione forse, quanti messaggini abbiamo ricevuto. Eppure come desideriamo che qualcuno ci convinca che non è sangue rovesciato nei tombini quello di Patricia Rizzo straziata nella metro belga da criminali fottuti, e che non è perduta nel nulla la giovinezza delle nostre sette studentesse uccise in Catalogna dal sonno di un autista stanco. La stessa giovinezza schiantata di Giulio Regeni, torturato a morte in Egitto da chissà chi.Mai come oggi abbiamo bisogno di Resurrezione, di un'aurora. E che come Maria Maddalena invece dell'odore della putrefazione da vincere con la mirra e l'aloe, nel giardino dei sepolcri ci venga incontro qualcuno che ha vinto la livida morte. E colui che credevamo perduto ci chiami per nome, così da sussultare anche noi come quella donna che riconosce la voce di Cristo: «Maria!».Posso garantire: pur saltabeccando qualche volta su Ciao Darwin (è il fascino irresistibile del gatto spiaccicato?) ho vissuto la Via Crucis di Francesco: è stata la memoria della Passione di Cristo, ma era già profumata di benedizione e di vita. In fondo ci è stato insegnato da bambini che quei chiodi piantati sul corpo del figlio di Dio e di un falegname non sono vittoriosi. Ammazzano sì, ma il terzo giorno con una forza possente della misericordia il sepolcro sarà scoperchiato.Quante volte, tra ieri e oggi, abbiamo ricevuto o indirizzato l'augurio «Buona Pasqua»? Equivale più o meno a «ti voglio bene», e non è poco, anzi. Basta questo? Abbiamo bisogno di qualche cosa di più. Perché dire «ti voglio bene» significa promettere, secondo il significato più profondo dell'amore, «tu non morirai», come intuì il filosofo esistenzialista Gabriel Marcel.

Buona Pasqua di Resurrezione, mentre la morte allunga le sue ombre intrise di sangue. Si può dire ancora? Lo si deve dire con dolore e gioia.Qualcuno che ne capisce il senso ci sarà pure ancora. E un residuo della coscienza di ciascuno di noi dice: sì, Buona Pasqua!Renato Farina

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