A volte ci si spinge un po’ in là, nelle gite, nelle escursioni, nelle serate a base di pizza e chitarra. Sì, diciamolo, a volte il sesso bussa alle porte degli scout. È normale, fisiologico. Meglio, educativo. Ma quando il sesso non è etero? E, soprattutto, quando il non-etero è un capo, un leader con qualche anno e qualche esperienza in più? Il mondo cattolico vede da sempre negli scout un territorio sicuro e accogliente. Però sotto sotto il dubbio agita chissà quanti genitori, chissà quanti fratelli, chissà quanti nonni.
E il dubbio, il sospetto, il timore, ieri sono esplosi.
«Le persone omosessuali adulte nel ruolo di educatore (quindi per noi i capi che hanno una tendenza omosessuale profondamente radicata o forse predominante) costituiscono per i ragazzi loro affidati un problema educativo. Il capo è il modello per i suoi ragazzi e sappiamo che gran parte dell’effetto educativo, dipende dalla esemplarità anche inconscia che proviene dall’adulto». È padre Francesco Compagnoni a parlare, in un passaggio della sua relazione al seminario «Omosessualità, nodi da sciogliere nelle comunità capi», promosso dall’Agesci, associazione degli scout cattolici, che si è svolto alcuni mesi fa ma di cui in questi giorni sono stati pubblicati sul sito della stessa Agesci.
Dove si legge: l’Agesci «ha ragione di interrogarsi intorno a questo aspetto che è indubbiamente un problema serio. Il capo trasmette dei modelli e i capi che praticano l’omosessualità, o che la presentano come una possibilità positiva dell’orientamento sessuale, costituiscono un problema educativo». Allargando poi il discorso, padre Compagnoni osserva che «nel quadro dell’educazione con metodo scout è necessario affrontare il problema della sessualità con i ragazzi e con le ragazze, ma ciò non deve essere fatto solo da un capo omosessuale e inoltre deve essere chiaramente sottolineato che non tutte le posizioni al riguardo hanno la stessa dignità morale. Questo è un punto importante nella nostra società che è per definizione “tollerante”. Ma la tolleranza non vuol dire che tutti i comportamenti abbiano uguale dignità umana e abbiano lo stesso valore morale». Infine, padre Compagnoni affronta il tema del «che fare» quando emergano casi di omosessualità tra i giovani scout. «Secondo me - afferma - bisognerebbe parlare con i genitori e invitare un esperto con cui consigliarsi. In linea generale uno psicologo dell’età evolutiva o ancora meglio un pedagogista. Non si può semplicemente evitare il problema non affrontandolo». Come ha confermato lo psicologo Contardo Seghi, presente al seminario: «Un capo di questo tipo, affetto da protagonismo, se omosessuale, può sentire di dover passare attraverso l’espressione pubblica del suo orientamento sessuale. Questa situazione può non essere opportuna in riferimento al percorso di crescita dei ragazzi».
Immediato lo sdegno da parte di Arcigay e dei promotori del Pride nazionale che si sono lanciati all’attacco dell’Agesci: Un «approccio parziale e inevitabilmente ideologico», una «fiera del pregiudizio antigay». «La natura, l’identità e la dignità delle persone viene piegata da Agesci a un approccio parziale e inevitabilmente ideologico - afferma il presidente di Arcigay, Paolo Patanè - che a mio avviso intacca profondamente quella stessa cultura del rispetto». Ancor più netta Flavia Madaschi, del comitato organizzatore del Gay pride nazionale in programma il 9 giugno a Bologna: «Come mamma di un ragazzo gay, mi sento disgustata.
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