Coronavirus

Quello che Pechino non ci vuole dire

Dar fiducia ad una Cina dove nel 2017 il Premio Nobel Liu Xiao Bo venne fatto morire in prigionia, dove ai condannati alla pena capitale vengono espiantati gli organi, dove centinaia di migliaia di musulmani vengono deportati in autentici lager già non era facile

Quello che Pechino non ci vuole dire

Dar fiducia ad una Cina dove nel 2017 il Premio Nobel Liu Xiao Bo venne fatto morire in prigionia, dove ai condannati alla pena capitale vengono espiantati gli organi, dove centinaia di migliaia di musulmani della provincia dello Xinjiang vengono deportati in autentici lager già non era facile. Lo è ancor di più dopo la pubblicazione sul Wall Street Journal delle rivelazioni dell'intelligence statunitense secondo cui i primi ad ammalarsi di Covid, nel novembre 2019 - ovvero un mese e passa prima dell'effettivo allarme lanciato da Pechino il 31 dicembre - furono tre scienziati dell'Istituto di virologia di Wuhan. Ovvero tre scienziati del centro di ricerca dove la dottoressa Shi Zhengli, massima esperta cinese di coronavirus, lavorava ad un vaccino capace di prevenire epidemie simili a quella Sars considerata il precursore del Covid 19. Che il ruolo della dottoressa Shi Zengli e del laboratorio fossero quantomeno ambigui lo si era già capito un anno fa. Allora la ricercatrice aveva ammesso in un'intervista a Scientific American di aver temuto che il contagio si fosse sviluppato proprio nel suo istituto. «Potrebbe esser arrivato dai nostri laboratori» - ammise la dottoressa che aggiunse «quello è stato un vero peso, non ho chiuso occhio per giorni». Un dubbio costatole caro. All'indomani di quelle dichiarazioni venne, infatti, imbavagliata e messa nell'ombra. Ma alcuni dubbi sono emersi anche sul versante italiano. Soprattutto dopo la mancata pubblicazione di Perché guariremo, il libro del ministro della Salute Roberto Speranza prima annunciato e poi ritirato dagli scaffali. Nelle sue pagine, come già notato da il Giornale, Speranza ricorda che fin da dicembre «si rincorrevano le voci su nuovi focolai virali» nella provincia di Wuhan. Una notazione singolare visto che il primo annuncio ufficiale delle autorità cinesi risale al 31 dicembre. Ed ancor più singolare risulta, con il senno di poi, il vertice romano del 9 novembre tra Speranza e il suo omologo cinese. Un vertice in cui, un mese prima dello scoppio del Covid, viene varato un accordo sanitario focalizzato a «sviluppare strategie di prevenzione» per affrontare anche «la pandemia di malattie infettive come l'influenza». Data per scontata la buona fede di Speranza c'è da chiedersi perché ai primi di novembre i cinesi avessero tanta fretta di concludere accordi per la lotta alla pandemia con l'Italia. Al di là di questi dubbi è però evidente che le rivelazioni dell'intelligence americana rendono quanto mai problematica l'omertà con cui una potenza mondiale pronta a misurarsi con Stati Uniti ed Europa ha affrontato un contagio costato, ad oggi, la vita di tre milioni e mezzo di individui. Ed ancor più inquietante è la complicità imposta da Pechino all'Organizzazione Mondiale della Sanità. Una complicità comprata grazie ai voti con cui la Cina e le sue colonie africane tenute al guinzaglio del credito hanno eletto ai vertici dell'Oms l'ex ministro etiope Tedros Ghebreyesus. Così l'agenzia chiamata a governare la sanità mondiale si è trasformata in un ventriloquo della propaganda cinese pronto ad avvallare, anche nell'ultima presunta indagine, tutte le tesi pre-confezionate da Pechino. Ma forse non tutti i mali vengono per nuocere. I milioni di morti causati dall'omertà di Pechino resteranno un monito indelebile.

Un monito pronto a ricordarci gli inganni nascosti dietro l'illusione di progetti ricamati sullo sfondo fascinoso della Via della Seta, ma disegnati, in verità, su quell'ordito comunista che continua a richiedere reticenze e omertà per coprire orrori, massacri e violazioni dei diritti umani.

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