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Chi è il croupier?

Da alcuni dati dello scorso maggio emerge che dalle banche nel 2022 sono arrivate 155mila segnalazioni di operazioni sospette, le famose sos

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Da alcuni dati dello scorso maggio emerge che dalle banche nel 2022 sono arrivate 155mila segnalazioni di operazioni sospette, le famose sos. Di queste solo 25mila sono state trasmesse alla Dna. Diciamo che su 200 giorni lavorativi l'anno quegli uffici avrebbero dovuto verificarne poco meno di mille al giorno. Impossibile. Allora c'è da chiedersi in quel grande calderone di informazioni pronte all'uso come vengono decisi i casi, le persone su cui indagare? Visto che non è possibile verificare tutte quelle notizie come vengono pescate nel mazzo da magistrati e finanzieri e con quale «ratio»? Probabilmente scopriremmo che sono scelte o perché saltano fuori i nomi dei soliti sospetti, o perché alla selezione sovrintende una logica politica o parapolitica, o perché riguardano persone più o meno note che garantiscono un'eco mediatica ad una potenziale indagine: se non fosse così non si comprenderebbe la storia degli ultimi quarant'anni di questo Paese.

Tutto ciò per dire che nessuna scelta è neutra, specie se riguarda un politico di qualsiasi colore: chi lo sostiene pecca di ingenuità o ha interesse a crederlo. Ecco perché, senza polemica, anche tra chi fa il mestiere di giornalista ci dovrebbe essere un minimo di umiltà nel ragionare sui criteri che si nascondono dietro alla diffusione delle «sacre carte». Cioè bisognerebbe porsi degli interrogativi su chi è il croupier che le dà e sul perché. Sempre che non si vogliano trasformare i giornali in cassette postali dove magistrati, deep State, corpi deviati imbucano notizie, vere o false, da dare in pasto all'opinione pubblica. Per dirla tutta: a volte la notizia più succulenta non è la «carta», il «dossier» ma il soggetto che la offre e la logica per cui lo fa. All'epoca erano più interessanti le notizie pubblicate da Mino Pecorelli su O.P. o chi ne muoveva i fili? Altro esempio: a posteriori era più notizia l'avviso di garanzia che nel '94 innescò la caduta del governo Berlusconi per una vicenda che poi non portò a nulla sul piano giudiziario, o «l'intelligenza» che fece uscire quella notizia proprio in quel momento recapitandola al Corriere della Sera con l'obiettivo di determinare una serie di conseguenze politiche? Lo stesso discorso vale per la questione sollevata dal ministro Crosetto - con le possibili relazioni con la nascita del governo Meloni - su cui la Procura di Perugia sta indagando e sugli altri casi che possono essere collegati alla vicenda del finanziere «pifferaio».

Ora è legittimo che qualcuno sostenga convinto che la storia si esaurisca solo nell'attivismo e nella curiosità di un ufficiale della Guardia di finanza che ha approfittato della libertà che gli concedevano i protocolli interni della Dna e che non ci sia altro dietro. È una visione un po' semplicistica per chi spesso nei suoi ragionamenti fa ampio uso del sospetto e della dietrologia. Tant'è che dalle stesse parti si annota giustamente che lo stesso finanziere ha rivelato che un magistrato di primo piano gli aveva commissionato un report in via riservata sugli affari di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri. È una notizia che stride con la tesi minimalista, ma ci sta. Questo non vuol dire, però, che chi la pensa diversamente, che chi immagina che ci sia ben altro sotto, abbia torto.

In fondo tra gli elementi cardine della democrazia c'è il pluralismo dell'informazione: sapere che ci sono giornali che si limitano a pubblicare «le carte» e altri, invece, che sono più curiosi di scoprire il nome del croupier, della «manina», del perché le dà, è in fondo una garanzia per il nostro bistrattato Paese.

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