Politica

Chi mette il cappello su SuperMario

Draghi siamo noi. Draghi è il Pd. Nicola Zingaretti ha passato tutto il pomeriggio di ieri a ripetere questo concetto, quasi per convincersi che sia vero

Chi mette il cappello su SuperMario

Draghi siamo noi. Draghi è il Pd. Nicola Zingaretti ha passato tutto il pomeriggio di ieri a ripetere questo concetto, quasi per convincersi che sia vero. Se ci credi tutto il resto scompare, perfino Salvini al governo insieme a te.

Nel Pd, quando la realtà ti mette all'angolo, la via d'uscita è negarla. Ci si costruisce un castello immaginario dove tutti i pezzi tornano a posto, e pazienza che sia solo una finzione. È quello che sta facendo Zingaretti, e non solo lui. «Nel partito siamo tutti con Draghi, con le nostre idee e i nostri valori». L'idea è definire subito di che colore deve essere il nuovo governo. Gli altri sono ospiti. «È Salvini che si è spostato». Poi però avverte: «Guai se Draghi si ritrova a fare i conti con una maggioranza litigiosa». Solo che è sempre lui a mettere i paletti: «Niente condoni e una riforma fiscale all'insegna della progressività». Niente flat tax. È legittimo difendere le proprie idee, meno saggio seminare le prime mine quando nessuno si è ancora seduto a parlare. Si parte con i veti e le chiusure e non è il modo migliore per cominciare.

Non è una sorpresa. Il Pd rivendica ancora una volta la sua vocazione governativa. Non c'è altra politica possibile. Non se ne parla, non si discute, non esistono alternative o mediazioni. Questo significa restringere a priori gli spazi di manovra di Draghi, chiudendolo in un perimetro, in una gabbia. Ecco, appunto, le basi per un maggioranza litigiosa. È il solito atto di presunzione. E non consapevolezza. È un atto di sfiducia verso il lavoro del premier.

Mattarella ha evocato Draghi per sciogliere un nodo con cui l'Italia si stava impiccando. La vecchia maggioranza era finita in un vicolo cieco. Si chiama fallimento. Fallimento politico. Fallimento di idee. Fallimento di prospettive. Il Pd di questa storia non era una comparsa, stava lì, come un architrave, da protagonista. Il Pd ha fallito. Ha subito tutte le mosse degli alleati e l'unica risposta è stata quella di arroccarsi sul nome di Conte. Lo stesso Conte che ancora adesso considera fondamentale per il destino di Draghi. È lui, suggerisce Zingaretti, la pietra d'angolo da cui ricominciare.

Il sospetto è che per il Pd il nuovo governo sia solo un Conte ter con una faccia diversa. Solo che questa volta non si può fallire, perché dopo Draghi c'è l'abisso. Il Pd che s'imbarca senza principio di realtà è un grosso rischio.

È una zavorra di finzioni.

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