Solo gli inglesi possono ritrovare uno scheletro in un parcheggio, condurre analisi per mesi sul Dna fino a coinvolgere diciassette generazioni di presunti discendenti, proclamare al mondo che si tratta di Riccardo III e, un annetto dopo, riseppellire con tutti gli onori del caso il vecchio re, l'ultimo dei Plantageneti, cinquecentotrenta anni dopo la sua morte. E fare di tutto ciò non una immensa farsa bensì un evento per il quale Leicester ha attirato migliaia di persone da tutto il mondo (Australia e America comprese): soltanto domenica erano in trentacinquemila ad assistere alla processione della bara trainata da cavalli e scortata da cavalieri in armatura che ha sfilato dal luogo in cui fu ucciso, durante la battaglia di Bosworth del 1485 contro il futuro Enrico VII, il primo re della dinastia Tudor, fino alla cattedrale di Leicester, dove il feretro è esposto agli omaggi dei sudditi fino a domani, quando ci sarà il «funerale».
Più che altro una sepoltura dei suoi resti, del suo scheletro con quella «s», quella curva inconfondibile che era la sua leggendaria gobba, per i suoi detrattori da Tommaso Moro in poi una deformità fisica che era segno di quella morale e spirituale, simbolo della malvagità del più crudele dei re, l'uomo che Shakespeare ha reso sinonimo di ambizione mostruosa e azioni terribili (una su tutte, la mai provata uccisione dei giovani nipoti, i «principi nella Torre»), il villain menzognero e mistificante, il condottiero spietato, il machiavellico scalatore di troni (anche se il Principe è posteriore) a qualunque prezzo, a qualunque costo, anche del proprio stesso Regno però, quello che avrebbe ceduto per un cavallo durante la carneficina di Bosworth, quando il suo acerrimo rivale Tudor riuscì a sconfiggerlo e a fare scempio del suo corpo già martoriato dalla natura, infierendo con dieci colpi, otto dei quali alla testa (tutto rivelato dagli scienziati assoldati dalla Richard III Society).
Riccardo III ha vissuto solo 33 anni, ultimo sovrano inglese a morire sul campo di battaglia (si batteva come un leone, sempre in prima linea) e il suo è stato uno dei regni più brevi d'Oltremanica, solo ventisei mesi, eppure il suo mito tormenta il mondo da cinque secoli, e ora che è tornato, ed è stato riabilitato, dimostra che la sua cattiveria, la sua perfidia shakesperiana, anche se falsa, anche se forse era solo «propaganda di epoca Tudor», è stata la sua fortuna, e l'ha reso immortale. Dopo i colpi di cannone di domenica, domani avrà un funerale «quasi» di Stato, con un messaggio della Regina e la diretta tv, anche se Philippa Langley, la donna che ha guidato le ricerche sul Dna, ne aveva chiesto uno «come Margaret Thatcher, che in fondo era solo un primo ministro». Il sindaco di Leicester ha detto: «Questa volta seppelliamolo con dignità e onore» (forse anche per giustificare la spesa: 2,5 milioni di sterline), visto che l'ultima era stato accolto di traverso a un cavallo, con la testa penzoloni.
E la città si è riempita di rose bianche, il simbolo della casata di York, posate sulla lapide, mostrate dalla folla in coda per ore e ore, apparse su migliaia di souvenir e ricordini perché il fascino old England è anche business, si calcola che l'effetto Riccardo III possa valere circa 45 milioni di sterline, e poi la sua bara in legno di quercia di una pianta del Duchy of Cornwall (le terre del principe Carlo) è stata costruita da Michael Ibsen, canadese che di solito crea librerie o mobili su misura, ma il
destino vuole sia uno dei due discendenti viventi di Riccardo III, e abbia prestato il suo Dna per svelare chi fosse quello scheletro nascosto in un parcheggio. Perché solo gli inglesi sanno farlo così.
di Eleonora Barbieri
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