Confindustria riunisce i suoi associati a poche ore dalla nascita del governo più distante che mai dalle esigenze del Nord produttivo. Oggi a Roma è convocato lo Stato maggiore di Confindustria in assemblea privata, per preparare l'assemblea pubblica che sarà invece domani, alle 10.30, nell'auditorium Parco della musica. Per il presidente Vincenzo Boccia sarà l'assemblea di metà del suo mandato quadriennale: da giovedì inizierà la corsa alla sua successione (mancano due anni, che possono apparire tanti, ma in Confindustria i giochi iniziano sempre con maggiore anticipo). Anche perché l'associazione degli industriali arriva all'appuntamento annuale della relazione del suo presidente in un momento politico che più critico non si poteva immaginare. È in gioco il suo stesso ruolo nei rapporti istituzionali ed economici.
Si pensi che l'intervento esterno più atteso, quello del rappresentante del governo, fino e ieri sera era più che mai in forse: a essere invitato è il ministro dello Sviluppo e lo scorso anno Carlo Calenda fece impennare l'applausometro. Ma domani chi andrà? Calenda potrebbe essere ancora in carica e in ogni caso deciderà all'ultimo se andare per portare un saluto di commiato. Più inverosimile, invece, che ci vada un ministro fresco di giuramento. Magari proprio Luigi Di Maio, in corsa per lo Sviluppo. In ogni caso si capisce bene che il momento è cruciale: gli industriali stanno passando da uno di loro, Calenda con il suo portato di Industria 4.0, piano per Ilva, cessione Alitalia, a un Di Maio o chi per lui con stop alla Tav, alla stessa Ilva e una passione per le nuove Iri.
Non a caso uno dei pezzi da novanta dell'associazione, il bresciano Marco Bonometti, presidente della Lombardia, ha ieri aperto le danze con una dichiarazione dura: «Mi auguro che nell'agenda politica del nuovo governo riappaia la parola industria». Per poi aggiungere che «l'impresa, e il settore manifatturiero in particolare, è il vero motore per la crescita del Paese» e come tale deve stare al centro della politica. Parole che segnano la distanza tra il mondo industriale del Nord e ciò che finora si è letto sul «contratto di governo». Così ora l'attenzione va tutta sul discorso che farà Boccia domani: come si collocherà Confindustria in questa nuova fase? L'apertura di credito che lo stesso Boccia aveva concesso a M5Stelle dopo il 4 marzo («è un partito democratico, non fa paura») che fine farà? Di certo Boccia ripartirà - e dovrà renderne conto - dalla proposta avanzata nelle assise generali di Verona.
Era il 16 febbraio scorso e di fronte a cinquemila imprenditori, due settimane prima del voto, Boccia ha presentato «La visione e la proposta»: il documento preparato dal neocapo dell'ufficio studi, Andrea Montanino, che rappresentava la sintesi delle richieste dell'Italia che produce all'indirizzo del governo che verrà. Una proposta su lavoro, crescita del Pil e riduzione del debito basata su investimenti in infrastrutture, fisco più selettivo e più Europa. Con un piano di recepimento di risorse pari a 250 miliardi in 5 anni da effettuarsi, tra l'altro, con Eurobond e spending review. Il documento, nelle intenzioni dichiarate di Boccia, doveva essere proposto alle forze politiche, con l'intento di registrare la sintonia tra l'Italia, soprattutto del Nord, spina dorsale della crescita, e la classe dirigente politica.
Il punto è che da allora se n'è parlato poco e niente.
E che per di più, nonostante la forte affermazione della Lega nelle regioni più produttive del Paese, il contratto gialloverde guarda soprattutto altrove. E a sentimenti euroscettici, piuttosto che Anti-Tav, che nell'assemblea annuale degli industriali italiani non hanno mai trovato la minima adesione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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