C'era una volta una Confindustria che condizionava l'agenda del governo, nell'interesse delle imprese. Oggi non ce n'è più traccia. Al punto che, nel registrare le prese di posizione dell'associazione degli industriali di questi tempi, si fa fatica a capire qual è il filo logico che le ispira.
Ieri il quotidiano della casa, il Sole-24 Ore, riportava - nel titolo d'apertura - la polemica lanciata dal presidente degli industriali, Vincenzo Boccia: «Il governo deve chiarire se vuole la paralisi delle imprese». Mentre il direttore del Sole, Fabio Tamburini, firmando l'editoriale, elencava le iniziative di governo che stanno «seminando tempesta nel mondo delle imprese»: dalle norme retroattive sulle responsabilità ambientali (che mettono a rischio l'intera operazione del rilancio Ilva), alla guerra ai concessionari autostradali (che minano gli investimenti e creano incertezza); dalla palude nella quale è finita la Tav, a quella dove affondano i cantieri. Il tutto non senza una critica al lassismo nei conti pubblici, con il desiderio di investire 15 miliardi nella flat tax quando, solo tra le richieste di manovra dell'Ue e gli aumenti dell'Iva, ne mancano all'appello almeno altri 30.
Tutto super condivisibile. Peccato però che solo due mesi fa, dopo un incontro con Luigi Di Maio, Boccia se ne fosse uscito dicendo che «sembrava uno di noi». Mentre lo stesso Sole (che da qualche tempo ha assoldato tra i suoi editorialisti l'economista Marcello Minenna, ex assessore della giunta Raggi), negli ultimi mesi non ha certo tenuto una linea dura verso l'esecutivo giallo-verde.
Eppure, rispetto al rischio paventato di una paralisi industriale, non ci sembra che il governo abbia mai cambiato passo. Semmai è Confindustria che, ora, ha cambiato idea. Forse perché la scommessa fatta su «Di Maio uno di noi» è naufragata con il risultato delle Europee del 26 maggio. E ora bisogna cercare di correggere il tiro. Magari puntando il dito sulla Lega di Salvini e mettendole addosso la pressione degli imprenditori: «Nel mondo delle imprese l'inquietudine sale anche nello stesso elettorato del Nord, le roccheforti leghiste - scrive Il Sole, aggiungendo il rischio - che la felice stagione della crescita dei consensi si esaurisca».
Ma per correggere il tiro è troppo tardi. Boccia è ormai un'anatra zoppa: ha davanti a sé meno di un anno di un mandato non più rinnovabile. La corsa alla successione è già iniziata, sancita anche dalla nomina dello stesso Boccia, qualche giorno fa, al vertice della Luiss, incarico che di prassi spetta al presidente di Confindustria uscente. Difficile dunque che Confindustria, senza una voce che la rappresenti nel pieno del suo mandato, possa dire la sua con la fermezza e la credibilità richieste dall'agenda politica di questi prossimi mesi cruciali. In viale dell'Astronomia si respira, piuttosto, un'aria di isolamento che è il risultato delle posizioni ondivaghe tenute dall'insediamento del governo Lega-Cinque stelle fino a oggi.
E dire che poteva essere tutta un'altra storia: ben diversa determinazione si è vista in passato, e verso governi assai meno pericolosi di questo per le imprese.
Basti ricordare cosa accadde nel 2011, quando lo spread saliva indisturbato perché - a differenza di adesso - il «whatever it takes» di Mario Draghi era ancora di là da venire. E la Confindustria e il Sole di allora per mesi furono in prima linea. Fino a essere tra i protagonisti della caduta del governo guidato da Silvio Berlusconi. E dell'arrivo di Mario Monti.
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