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Le contraddizioni del servitore dello Stato

La sensazione ha lasciato le ovattate stanze del Quirinale per poi diffondersi in maniera discreta nel Palazzo, dove è arrivata qualche giorno dopo

Le contraddizioni del servitore dello Stato

La sensazione ha lasciato le ovattate stanze del Quirinale per poi diffondersi in maniera discreta nel Palazzo, dove è arrivata qualche giorno dopo. Naturalmente per descriverla usando il vocabolario istituzionale, di cui Sergio Mattarella è un cultore, bisogna essere prudenti. Dire che all'attuale capo dello Stato l'intervento di Natale di Mario Draghi non sia piaciuto è un po' troppo, vista la sobrietà che contraddistingue l'inquilino del Colle. Magari per entrare nelle liturgie di Palazzo si può dire, invece - o almeno questo risulta dai frequentatori di quei saloni - che Mattarella sia rimasto «sorpreso», magari perplesso: non era al corrente delle intenzioni del premier.

Non è poco per un personaggio che ha modellato la sua figura, con pignoleria, su quella del servitore dello Stato, passando dalla Corte Costituzionale al Quirinale. In quest'ottica, nella testa di Mattarella un servitore dello Stato è chiamato a svolgere dei ruoli delicati, non si propone da solo, non si autocandida: non per nulla l'attuale presidente non fece nulla sette anni fa per essere eletto (o almeno non ve n'è traccia nelle cronache) e oggi, con coerenza, non ha nessuna voglia di restare sul Colle.

Per cui un premier che non nasconde per nulla davanti alle telecamere il desiderio di arrivare al Quirinale - o almeno questa è l'immagine che ha dato - non poteva non stupire Mattarella. Anche perché quel messaggio è stato interpretato allo stesso modo da tutti i media. Un'intenzione che naturalmente stride con la concezione che sul Colle hanno proprio della figura del servitore dello Stato. Tanto più se il premier si presenta come tale: «Sono un uomo, un nonno al servizio delle istituzioni».

Quello che ha creato un po' di imbarazzo sono state anche le letture e le chiavi di interpretazione veicolate dagli ambienti di Palazzo Chigi su quelle parole. Come si fa a dire che se la sua legittima aspirazione di salire al Colle non fosse soddisfatta, il premier farebbe le valigie mandando il governo all'aria? O, ancora, che se la maggioranza di governo si dividesse sul Quirinale, si aprirebbe una crisi? Sono questioni diverse, separate sul piano istituzionale, che non c'entrano nulla l'una con l'altra. Ne è consapevole lo stesso Draghi che, appunto, ha detto nella sortita di qualche giorno fa che «la prosecuzione del governo sta nel Parlamento». Come pure - a proposito delle minacce e dei ricatti che circolano in questi giorni - la scelta del nuovo capo dello Stato riguarda le Camere e non altri.

O, almeno, coerenza vorrebbe che un servitore dello Stato la pensasse in questo modo.

Senza contare - e questo dovrebbe essere il fulcro della cultura istituzionale di un public servant - che mentre un Paese è ancora in piena emergenza Covid, mentre si studiano misure restrittive pesanti, bisognerebbe pensare più al ruolo che si svolge nel presente che non a ragionare su quello che si aspira a ricoprire un domani.

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