Nessun controllo in aeroporto: il virus importato dal Bangladesh

Sei cittadini del Bangladesh sono atterrati a Fiumicino con voli diversi dopo essere partiti da Dacca mentre altri 5 sono legati al caso dei ristoranti

Nessun controllo in aeroporto: il virus importato dal Bangladesh

Sono saliti a 11 i cittadini del Bangladesh che sono stati colpiti dal coronavirus a Roma e provincia in quelli che sembrano essere al momento due distinti focolai dell’infezione. Sei di loro sono atterrati all'aeroporto di Fiumicino con voli diversi, tutti con scalo, dopo essere partiti da Dacca, la capitale del Bangladesh. Altri cinque, invece, sarebbero legati al caso dei due ristoranti a Fiumicino, in questo caso lo scalo aeroportuale non è parte della storia, dove uno di loro lavorava.

La vicenda è intricata perché non è detto che le autorità sanitarie riescano a tracciare tutti i contatti avuti dalle persone infette. Contemporaneamente si sta cercando di capire quale sia la reale situazione in Bangladesh. Risulta preoccupante, infatti, che si siano registrati sei casi su voli differenti in così pochi giorni.

Come spiega Il Messaggero, vi è un focolaio che si potrebbe classificare come di "importazione". Riaprono le frontiere e ripartono i voli. Le persone si spostano con maggiore libertà. Qualcuno arriva dal Brasile e dal Regno Unito, Paesi molto colpiti dal virus. Secondo le norme, dopo essere atterrati tutti dovrebbero restare in quarantena di quattordici giorni. Ma ci sono dubbi sul rispetto di questa procedura. Quel che è certo è che sei cittadini del Bangladesh atterrati a Roma sono risultati positivi: uno è stato ricoverato al Policlinico Umberto I. Scatta l'indagine epidemiologica. La Regione si attiva immediatamente e, dopo aver chiesto l'intervento del Ministero delle Infrastrutture, ha aperto un canale di dialogo con le compagnie aeree utilizzate dagli stranieri che quasi sempre lavorano a Roma. È necessario capire molte cose e in tempi brevi.

Alessio D'Amato, assessore alla Sanità della Regione Lazio, ha spiegato: "Il paziente ricoverato all'Umberto I ci ha candidamente confessato che aveva già i sintomi di Covid-19 prima di salire sull'aereo a Dacca. Come è possibile? Perché l'hanno lasciato partire?". E così è stata contattata anche la compagnia aerea per capire cosa sia davvero accaduto negli aeroporti di partenza. Le autorità sanno che bisogna agire subito per scongiurare nuovi e più vasti focolai.

Ma c'e dell'altro. Il 24 giugno un cittadino originario del Bangladesh che lavorava in un ristorante viene ricoverato con una polmonite interstiziale allo Spallanzani di Roma. Il caso non è collegato alla situazione-voli. Però suscita molti dubbi. L’allarme scatta immediatamente. Come previsto dalle regole attuali, vengono eseguiti tamponi agli altri dipendenti del locale e ai clienti così come agli amici e, in generale, a tutti coloro che in qualche modo potrebbero essere entrati in contatto con il soggetto colpito dal coronavirus o quanti siano passati dal ristorante. Le autorità chiedono ai cittadini di recarsi al drive in della Asl Roma 3, situato a Casal Bernocchi, per sottoporsi al tampone. Per sottoporsi ai controlli si presentano circa mille persone: otto risultano positive. Tra queste figurano due titolari del ristorante dove lavorava il primo contagiato. Gli stessi proprietari hanno anche un altro locale, subito chiuso dopo l’accertamento dei fatti. Quattro, invece, sono legati appunto al primo positivo.

Al momento nessun cliente del ristorante risulta positivo. Notizia confortante? Sembrerebbe di sì. Purtroppo, però, sulla vicenda si addensano ombre sinistre. La Regione Lazio denuncia che, contrariamente a quanto prevede l'ordinanza, nel locale non sono stati registrati i contatti di chi ha mangiato in questi giorni. Ciò significa che senza nomi dei clienti che si sono recati nel ristorante sarà piuttosto complicato ricostruire i contatti. Non è tutto. Il primo contagiato due giorni prima del ricovero era stato in ambasciata, dove aveva avuto contatti con gli impiegati e con altri connazionali che si trovavano negli uffici. Tutti dovranno essere individuati e sottoposti a tampone.

Le autorità

devono lavorare su due fronti. Spegnere i focolai interni e capire cosa sta accadendo davvero in Bangladesh. E, se il caso lo richiede, agite tempestivamente adottando i provvedimenti necessari per tutelare la salute di tutti.

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