Coronavirus

"Aperture rischiose ​anche con l'Rt sotto 1"

Lo studio sulla diffusione del coronavirus: "Fino a settembre infettato il 5% italiani, l'11% in Lombardia"

"Aperture rischiose ​anche con l'Rt sotto 1"

Mai abbassare la guardia contro il coronavirus. L’allentamento delle restrizioni quando l'incidenza dei contagi da Covid-19 è ancora alta potrebbe provocare un nuovo rapido picco dei casi e, di conseguenza un aumento del numero di persone ricoverate, anche se l'indice Rt è inferiore a 1. A supporto di tale tesi vi sono i dati di uno studio, basato sui dati della prima ondata dell'epidemia in Italia, condotto dai ricercatori di Fondazione Bruno Kessler (Fbk), dell’Istituto superiore di sanità (Iss) e dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (Inail). I risultati della ricerca, pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Science of the United States (Pnas), sono stati utilizzati per definire i possibili scenari in seguito alle riaperture della fase 2 e quelli nella fase autunnale.

Lo scenario sull'anticipo delle riaperture

Nello studio è stato usato un modello di trasmissione del coronavirus per stimare l'impatto di diverse strategie di mitigazione, introducendo anche la stima del rischio nei diversi settori produttivi in maniera innovativa. Dalla ricerca emerge che un anticipo prematuro delle riaperture "può incidere notevolmente sull'andamento dell'epidemia". I ricercatori, per le loro valutazioni, hanno preso in considerazione un preciso arco temporale. Se la fine del lockdown, avvenuta lo scorso 18 maggio, fosse stata anticipata al 20 aprile allora si sarebbe generato "un incremento di circa il 500% delle ospedalizzazioni cumulative rispetto a quelle osservate da maggio fino a fine settembre".

Le parole del ricercatore

Dall'analisi emerge, inoltre, che un Rt minore di 1"è necessario per permettere margine di azione dopo il rilascio delle restrizioni, mentre la bassa incidenza è necessaria per mantenere il livello dei casi, e quindi di ricoveri e decessi, approssimativamente costante dopo che Rt ritorna a valori vicini a 1 a seguito delle riaperture". "In particolare, l'incidenza deve essere sufficientemente bassa da poter essere gestita dai sistemi di prevenzione con l'isolamento dei casi e la quarantena dei contatti", ha spiegato Stefano Merler, ricercatore Fbk. L’esperto ha evidenziato che basandosi sul periodo in cui i servizi di prevenzione hanno cominciato ad andare in sofferenza a causa dell'aumento dei casi durante la seconda ondata "questa incidenza dovrebbe essere inferiore a circa 50 casi settimanali ogni 100.000 abitanti". "La ricerca – ha proseguito Merler - mostra che il potenziale di trasmissione di Covid-19 è ancora altissimo e suggerisce estrema cautela nella scelta dei contatti sociali che vengono riattivati e nella tempistica di riattivazione degli stessi".

I dati in Italia

I numeri di Covid-19 sono chiari. Fino al 30 settembre è stato colpito dal virus il 4,8% circa della popolazione italiana. Il numero dei contagi, però, varia da Regione a Regione. In Lombardia si registra il dato più alto con l'11% circa mentre nel Lazio le persone colpite sono il 2% della popolazione e in Campania l’1%.

L'analisi dei dati sulla diffusione di Covid-19 suggerisce che"gli effetti delle riaperture possono essere diversi da Regione a Regione a seguito dei diversi livelli di immunità raggiunta e della diversa prevalenza di infezione". La ricerca indica anche un possibile ruolo della struttura demografica: in pratica il coronavirus potrebbe avere un minore impatto nelle Regioni con una popolazione più giovane. I ricercatori hanno stimato che il tasso di notifica (quante infezioni vengono individuate dal sistema di sorveglianza rispetto al totale delle infezioni, inclusi anche tutti gli asintomatici) "è cresciuto da circa il 9,4% registrato durante la prima ondata a circa il 24,5% in estate". Questo aumento probabilmente è dovuto alla "miglior capacità di tracciamento dei contatti in regimi di bassa incidenza giornaliera di casi". Per far sì che i contagi non aumentino, i ricercatori hanno sottolineato come sia importante "favorire il più possibile lo smartworking" anche se si spiega che i contatti nel mondo del lavoro, escludendo i servizi essenziali come quello della sanità, "potrebbero non incidere molto sulla trasmissibilità di Sars-Cov-2".

La scuola

La riapertura delle scuole dagli asili fino alle scuole medie potrebbe, invece avere un impatto limitato sulla trasmissibilità del coronavirus grazie "alla minor suscettibilità all'infezione dei bambini e ragazzi fino a circa 14 anni di età". Nello studio si sottolinea che "riattivare quasi completamente i contatti sociali e le scuole di ogni ordine e grado, come avvenuto in tarda estate, può risultare in un'onda epidemica non contenibile senza severe misure restrittive". L'analisi condotta, però, non permette di distinguere tra infezione trasmessa all'interno degli edifici scolastici o durante le attività peri-scolastiche come, ad esempio.

trasporti, possibili assembramenti fuori degli edifici scolastici, attività extra-scolastiche.

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