Lo scompenso cardiaco è una malattia grave, debilitante e potenzialmente letale. È una sindrome complessa per cui il cuore si indebolisce e la sua attività diviene insufficiente per l'organismo. Se si sviluppa un danno irreversibile il cuore stesso e tutto il sistema cardiocircolatorio si adattano mettendo in atto meccanismi di compenso. Se anche questi tentativi falliscono, si instaura l'insufficienza cardiaca cronica. Senza una riserva funzionale adeguata, il cuore si destabilizza e non risponde efficacemente alle richieste metaboliche degli organi. Queste destabilizzazioni possono compromettere la funzione residua del cuore e aggravare ulteriormente la situazione.
Nonostante i recenti progressi nella comprensione dei meccanismi fisiopatologici e negli sviluppi di nuove strategie terapeutiche, la prognosi dello scompenso cardiaco cronico è paragonabile a quella delle neoplasie maligne, con una mortalità tuttora elevata.
Se la patologia viene trattata e controllata tempestivamente, si possono comunque ottenere esiti di cura soddisfacenti. Al congresso dell'American Heart Association che si è concluso mercoledì a Chicago sono stati presentati i risultati dei più recenti studi che aprono nuove prospettive al trattamento di questa patologia. In particolare è stata illustrata l'attività di un farmaco, primo di una nuova classe, in grado di modificare il decorso della malattia rispetto alla terapia tradizionale (enalapril) fino ad oggi gold standard di trattamento.
I nuovi dati su questo principio attivo sperimentale messo a punto dai ricercatori di Novartis, primo gruppo farmaceutico svizzero e tra i primi al mondo con 135mila addetti presenti in 60 Paesi, evidenziano risultati ben superiori alle aspettative. Nell'agosto 2014, Novartis ha presentato i risultati dello studio di riferimento PARADIGM-HF, che mostravano come il nuovo principio attivo (LCZ696) fosse superiore all'ACE-inibitore enalapril in relazione agli endpoint primari, riducendo significativamente il rischio di morti per cause cardiovascolari o di ricoveri ospedalieri per scompenso cardiaco.
Le nuove analisi presentate per la prima volta nel corso delle Scientific Session 2014 dell'American Heart Association, con un paper pubblicato in contemporanea su Circulation, mostrano che rispetto alla terapia gold standard si è riusciti a ridurre il rischio di decesso improvviso del 20% (nei pazienti con insufficienza cardiaca il 45% delle morti per cause cardiovascolari e il 36% delle morti per altre cause); è diminuito il numero di prime e successive ospedalizzazioni per rispettivamente del 21% e del 23%; si sono ridotte del 16% le ospedalizzazioni per cause cardiovascolari e del 16% la necessità di intensificare il trattamento domiciliare. Inoltre si sono ridotte del 30% le visite al pronto soccorso dovute al rapido peggioramento dei sintomi.
Quando sono stati ricoverati, i pazienti trattati con questo nuovo principio attivo sono rimasti in cura per un periodo di tempo pressoché analogo, ma tra i primi si è registrato un 18% in meno nella permanenza in terapia intensiva ed una minore probabilità, 31%, di dover ricorrere a farmaci endovena per aiutare il cuore a pompare.
«Questi risultati confermano che con LCZ696 potremmo non solo ridurre il rischio di morte o ricovero, ma offrire a milioni di persone la speranza di ridurre o rallentare il peggioramento della funzionalità cardiaca, modificando la progressione della malattia», ha dichiarato David Epstein, division Head, Novartis Pharmaceuticals. In Italia lo studio Paradigm-HF ha coinvolto 40 centri, arruolando più di 200 pazienti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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