Così la polizia stana i jihadisti

L'allarme terrorismo nelle carceri italiane. Nei penitenziari l'attività di monitoraggio delle forze dell'ordine. Ecco come funziona

Carcere di San Vittore, immagine di repertorio
Carcere di San Vittore, immagine di repertorio

Vedi il carcere e pensi che il problema, quella struttura, dovrebbe risolverlo. Invece spesso si trasforma in una sorta di megafono per jihadisti, l’humus perfetto per reclutare terroristi. Anis Amri, il killer di Berlino, era tra questi. Dopo un periodo al fresco in Italia, dove si è radicalizzato, ha preso la via della Germania e con un tir ha fatto strage di “infedeli”.

Il sistema Italia conosce il problema. Ed è forse grazie alla nostra capacità investigativa se il Belpaese non è ancora stato vittima di sanguinosi attentati. La lotta al terrorismo inizia proprio in carcere, lì dove si pensa - a torto - che il fenomeno venga arginato e circoscritto dalle sbarre. Su 62mila detenuti, 20mila sono stranieri e circa 8mila si professano musulmani. Di questi, 478 sono già monitorati dalla polizia penitenziaria. L'allarme maggiore riguarda 66 detenuti imputati o condannati per reati afferenti al terrorismo internazionale di matrice islamica. Alloggiano in tre sezioni dedicate degli istituti di Rossano, Nuoro, Sassari e L’Aquila (le donne) e sono catalogati AS2. Soggetti a rischio. I più pericolosi, certo. Ma per impedire che il morbo si allarghi non è sui "terroristi" già affermati che ci si concentra, quanto sui carcerati "normali" che rischiano di cedere alle sirene del proselitismo.

Il servizio investigativo della polizia penitenziaria mette gli occhi in particolare su quei "detenuti di media sicurezza" che "abbiano mostrato segni di radicalizzazione". La prima relazione la redige la direzione dell’Istituto detentivo che ospita il soggetto da monitorare. Ci si concentra sulla storia personale, su 44 indicatori di comportamento, sulle dimensioni emotive e quelle ideologiche. In caso di sospetti, l’informativa sale la scala gerarchica fino al Nucleo Investigativo Centrale (NIC) che svolge le dovute verifiche: aggrega i dati, consulta le banche dati, indaga sul soggetto. E poi gli attribuisce uno dei tre “livelli di analisi”. Una sorta di schedatura.

Il primo livello, classificato "alto" raggruppa soggetti AS2 detenuti "per reati connessi al terrorismo internazionale e quelli di particolare interesse per atteggiamenti che rilevano forme di proselitismo, radicalizzazione e/o di reclutamento"; il secondo, classificato "medio", contiene "i detenuti che all’interno del penitenziario hanno posto in essere atteggiamenti che fanno presupporre la loro vicinanza alle ideologie jihadiste e quindi, ad attività di proselitismo e reclutamento"; al terzo livello, quello "basso", finiscono gli ospiti che "per la genericità delle notizie fornite dall’Istituto meritano approfondimento".

Sulla base del livello attribuito al singolo detenuto, tutti gli operatori dell’Istituto penitenziario continuano l’osservazione sulla "vita intramurara" per registrarne il comportamento, le eventuali infrazioni disciplinari e le relazioni con l’esterno (lettere, danaro inviato e ricevuto, colloqui visivi e telefonici, pacchi postali). Una volta raccolti i dati, il NIC li analizza periodicamente e li condivide con la Direzione Nazionale Antimafia, con i magistrati e con il Comitato di Analisi Stategica Antiterrorismo (CASA).

La trafila sembra lunga, ma è fondamentale per tenere sotto controllo i soggetti che escono dal carcere dopo aver scontato la pena. In passato, - si legge nel rapporto del ministero della Giustizia - "non di rado venivano scarcerati detenuti pericolosi senza l'opportuna notizia agli organi preposti al controllo del territorio". Oggi, invece, il CASA, la questura e le forze di polizia vengono informate preventivamente in modo da permettere l’adozione dei provvedimenti necessari, come la "riservata vigilanza", l’avvio di "attività tecniche preventive" e, se necessario, l’espulsione.

"I soggetti sottoposti al monitoraggio - si legge nel documento - alla data del 19 ottobre 2018 sono complessivamente 478, di cui 233 sottoposti al 1° livello, 103 al 2° livello e 142 al 3° livello". A questi vanno aggiunti 193 individui già scarcerati che erano stati oggetto di osservazione e altri 137 in fase di valutazione. Un numero consistente e potenzialmente pericoloso.

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