Coronavirus

Ecco le "cicatrici" del Covid: cosa accade dopo lo tsunami

Sulla base di quanto osservato dopo le pandemie di Sars e Mers, c'è convinzione tra gli scienziati che i pazienti rimasti molto a lungo nelle terapie intensive possano subire danni permanenti alla salute mentale e sui polmoni. Ne abbiamo parlato con un'esperta del settore

Ecco le "cicatrici" del Covid: cosa accade dopo lo tsunami

Anche quando Covid sarà passato, probabilmente non passerà più. Sia ben chiaro, non sarà così per tutti gli ex positivi ma, probabilmente, per una percentuale minima delle persone colpite dal virus. Purtroppo, sembra che i pazienti che abbiano trascorso un lungo periodo in terapia intensiva lottando contro il maledetto, non solo hanno bisogno di un lungo percorso di recupero per le abilità perse durante la malattia, ma questo recupero potrebbe non avvenire al 100%.

I problemi psichici dopo la guarigione

Negli asintomatici ed in tutti quelli che hanno subìto soltanto la parte "benevola" del Covid, non ci saranno conseguenze una volta passata la malattia. Nei casi più gravi, oltre a doverserla vedere con la fisioterapia per recuperare la muscolatura respiratoria che diventa meno efficiente, i problemi potrebbero non fermarsi qui: uno studio pubblicato su Lancet Psychiatry mette in luce dettagliatamente alcune conseguenze dei lunghi periodi trascorsi in terapia intensiva. Tra tutti, c'è il rischio di delirio, agitazione, confusione e conseguenti problemi di salute mentale, anche se non è chiaro se questi problemi dureranno, o meno, anche sul lungo periodo.

Cosa dice lo studio. La ricerca è intitolata "Presentazioni psichiatriche e neuropsichiatriche associate a gravi infezioni da coronavirus", e paragona alcuni effetti di Covid alle precedenti pandemie mondiali, la sindrome respiratoria acuta grave (Sars) del 2002 e la sindrome respiratoria in Medio Oriente (Mers) del 2012. Come anticipato, sullo studio si legge che se l'infezione da Sars-CoV-2 seguisse un decorso simile a quello degli altri due virus, la maggior parte dei pazienti si potrà riprendere senza avere malattie mentali anche se Covid "potrebbe causare delirio in una percentuale significativa di pazienti nella fase acuta", scrivono i ricercatori. "I medici dovrebbero essere consapevoli della possibilità di depressione, ansia, affaticamento, disturbo post traumatico da stress e sindromi neuropsichiatriche più rare a lungo termine". Le infezioni virali sono note per la capacità di infettare il sistema nervoso centrale causando sindromi neuropsichiatriche che colpiscono i domini cognitivi, affettivi, comportamentali e percettivi. I coronavirus, si legge nello studio, oltre ad infettare il tratto respiratorio, sono stati riscontrati nel cervello e nel liquido cerebrospinale di soggetti con convulsioni, encefalite ed encefalomielite.

"Prematuro parlare di effetti diretti"

Abbiamo sentito in esclusiva la Dott.ssa Gaia de Campora, Psicologa e Docente all'Università di Torino. Lavora tra Torino e Roma ed ha chiarito molti dubbi in merito alle conseguenze psicologiche del Covid, quanto possa incidere in maniera diretta sulla mente. "Alcuni dei sintomi riportati, come una significativa riduzione dell’olfatto e della percezione dei sapori, conducono all’ipotesi che il sistema nervoso possa essere raggiunto dal virus - ha affermato - parlare però di effetto diretto sulla salute mentale credo sia prematuro", ed ha sottolineato come "i fattori sottesi ai disturbi o ai disagi mentali sono molteplici e non sempre immediatamente riconoscibili". Covid è troppo "fresco" per "stabilire un’influenza virale diretta sulla salute mentale".

Ecco chi va aiutato. Un aspetto da non sottovalutare è il recupero psicologico con chi ha combattutto quotidianamente il virus. "Chi è stato contagiato in prima persona o ha avuto un proprio caro affetto da Covid-19, così come il personale sanitario e le persone residenti nelle prime zone rosse, sono le persone da considerarsi più vulnerabili rispetto all’emergere di una condizione post-traumatica - spiega la de Campora - il rischio è di sentirsi esposti ad un continuo senso di minaccia, vivendo con fatica la possibilità di ristabilire il proprio senso di sicurezza, sia fisica sia emotiva". In questi casi, quindi, diventa fondamentale "dare un aiuto psicologico tempestivo per quelle persone che segnalano una condizione post-traumatica".

Il delirio. Gaia de Campora spiega cosa può accadere nei pazienti più martoriati dal virus. "Nel caso di delirium, il rischio è un deficit della memoria ma le conoscenze attuali fanno in buona parte riferimento a quanto osservato nella precedente Sars - afferma la psicologa - La maggior parte della popolazione è più probabile, invece, che riporti manifestazioni sub-cliniche, quali ansia, disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione, forti preoccupazioni rivolte al futuro, difficoltà nell’uscire di casa".

Cosa succede adesso. Le è stato chiesto, ora che la Fase 2 è iniziata e si intravvede un barlume di normalità, come e se ci lasceremo alle spalle questo periodo, se riusciremo a tornare alla vita di prima. "La pandemia è senza dubbio un evento con un forte impatto per tutti, ha scandito un prima da un dopo e ha reso precario il nostro senso di sicurezza - ci dice - Dobbiamo quindi consentirci un tempo adeguato per metabolizzare, ritrovare dei punti fermi e rintracciare un significato personale rispetto a quanto ci è successo".

Tumore al cervello

Altre conseguenze del virus nella mente

Le conseguenze neuropsichiatriche, cioè i disturbi mentali causati dalla malattia, possono insorgere attraverso effetti diretti dell'infezione del sistema nervoso centrale o indirettamente tramite una risposta immunitaria o una terapia medica. A Wuhan, tra i pazienti ricoverati in ospedale per infezione da Sars-CoV-2, il 36% presentava caratteristiche neurologiche. Nello studio si sottolinea che, anche se gravi conseguenze neuropsichiatriche sono rare, un numero considerevole di individui in tutto il mondo ne risentirebbe. Le precedenti pandemie influenzali sono state associate a conseguenze neuropsichiatriche di lunga durata, quindi è possibile che altre infezioni virali su larga scala possano causare morbilità mentale prolungate.

Sars-Mers-Covid. Al momento, ovviamente, la letteratura scientifica è costituita prevalentemente dai dati su pazienti con Sars e Mers trattati in ospedale, quindi è necessario "prestare attenzione nel generalizzare qualsiasi risultato a Covid-19, in particolare per i pazienti che presentano sintomi lievi", si legge nello studio. I principali risultati ottenuti finora accomunano il delirio (come abbiamo già trattato con la Dott.ssa de Campora) nelle fasi acute di tutte e tre le malattie. Inoltre, ci sono prove di depressione, ansia, affaticamento e disturbo post traumatico da stress nella fase post-malattia delle precedenti epidemie di coronavirus, ma sono ancora pochi i dati sul Covid-19. Sul lungo termine, i dati di Sars e Mers suggeriscono che la prevalenza di depressione, ansia, disturbo post-traumatico da stress e affaticamento potrebbe essere elevata, ma i dati su queste diagnosi in pazienti con Covid-19 sono ancora preliminari o non pubblicati.

I danni permanenti ai polmoni

Come per la mente, il Covid potrebbe lasciare un'eredità cronica anche nell'apparato polmonare, il suo bersaglio preferito. Sul New England Journal of Medicine viene riportato uno studio su 109 sopravvissuti (età media 45 anni) sulla sindrome da distress respiratorio acuto 3, 6 e 12 mesi dopo la dimissione dall'unità di terapia intensiva. Per distress respiratorio si intende si intendono gravi patologie polmonari caratterizzate da un'insufficienza respiratoria acuta con edema polmonare, dispnea (respirazione difficile) e grave ipossiemia (poco ossigeno nel sangue). Ad ogni visita, i 109 pazienti sono stati sottoposti ad un esame fisico, test di funzionalità polmonare, un test della camminata di sei minuti ed una valutazione della qualità della vita. Ebbene, ad un anno di distanza, pur migliorando, non hanno recuperato i livelli pre-evento acuto. Nel test del cammino di 6 minuti non sono riusciti a percorrere i metri richiesti, alcuni sono andati in debito di ossigeno ed è rimasta una certa debolezza. Meno del 50% di loro ha ripreso l’attività lavorativa ed anche a distanza di 5 anni il recupero non è stato completo, come riporta il Corriere.

Cosa succede dopo. I pazienti che sopravvivono alla sindrome da distress respiratorio acuto, secondo lo studio, sono a rischio di complicanze fisiche e neuropsicologiche della lesione polmonare stessa, della disfunzione multiorgano associata e della loro lunga permanenza nel reparto di terapia intensiva. Diversi ricercatori hanno valutato la morbilità tra i sopravvissuti usando test di funzionalità polmonare, valutazioni neuropsicologiche e cognitive e misure di qualità della vita. Ebbene, la maggior parte ha indicato che esiste una morbilità persistente dopo la dimissione dalla terapia intensiva.

Al nostro giornale è intervenuto pochi giorni fa lo pneumologo Franco Carnesalli, che ci ha spiegato come il danno ai polmoni possa essere sì reversibile ma non in tutti i casi. "È anche legato alle condizioni di partenza di un paziente, se è sano o deteriorato. E poi, dall'entità dell'infezione - ci ha detto - se è leggera, normalmente sparisce; nei casi di rianimazione o di intubazione, quindi gravi broncopolmoniti, è difficile che sparisca tutto" accennando alle pareti polmonari danneggiate dalla forza del virus. "Radiologicamente si vedono esiti più o meno marcati. Molti pazienti devono fare una riabilitazione respiratoria per riparare l'apparato respiratorio che è stato danneggiato.

E vanno seguiti nel tempo".

polmoni

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