Dalle mascherina, alle prese d'aria, fino all'aerosol. Il nuovo coronavirus può "nascondersi" su diverse superfici, dove sopravvive per ore e, in alcuni casi, per giorni. Dall'inizio della pandemia sono stati effettuati vari studi, che hanno osservato la capacità del Sars-CoV-2 (o di una sua parte) di rimanere attivo dopo essere venuto a contatto con i materiali.
Il Sars-CoV-2 rimane sulle superfici
La malattia si trasmette tramite i droplets, le piccole goccioline emesse da una persona infetta con uno starnuto o un colpo di tosse, che si propagano per brevi distanze e poi si depositano sugli oggetti che trovano lungo il loro percorso. Uno studio, pubblicato ad aprile su The Lancet, aveva analizzato il comportamento del virus sulle diverse superfici. I ricercatori avevano osservato che su carta da stampa e carta velina, il Sars-CoV-2 resiste poche ore, mentre su acciaio e plastica, le tempistiche risultano maggiori. Lo studio è stato preso in considerazione anche dall'Istituto superiore di sanità (Iss), che lo ha citato in un Report in cui erano state inserite le "Raccomandazioni ad interim sulla sanificazione di strutture non sanitarie nell’attuale emergenza Covid-19: superfici, ambienti interni e abbigliamento".
Alcuni studi effettuati sui coronavirus precedenti a Sars-CoV-2 hanno mostrato la possibilità per alcuni agenti patogeni (come quello responsabile della Sars e della Mers) di sopravvivere su varie superfici per un tempo che oscilla da poche ore a qualche giorno, a seconda del materiale su cui si posano, della temperatura, della concentrazione e dell'umidità. Si tratta, però, di dati riferiti all'Rna del virus, che non era legato alla sua infettività.
Gli studi sul Covid-19, invece, indicano che, su carta da stampa e carta velina, le particelle virali infettanti sono presenti fino a 30 minuti, ma non sono state più rilevate dopo 3 ore. Su tessuto e legno, invece, il virus è stato rilevato ancora a distanza di un giorno, ma non dopo due giorni, mentre per banconote e vetro, si parla di sopravvivenza fino a 2 giorni, ma non dopo il quarto giorno. Il patogeno sembra resistere maggiormente su plastica e acciaio inox, dove è stato identificato a distanza di 4 giorni, ma non dopo i 7 giorni.
I dubbi sull'aerosol e le prese d'aria
Ma il nuovo coronavirus non resiste solamente sulle superfici. Uno studio, pubblicato ad aprile sul New England Journal of Medicine, infatti, indicava la presenza del Sars-CoV-2 in aerosol anche dopo 3 ore, in condizioni da laboratorio. L'aerosol è composto da minuscole particelle che rimangono sospese nell'aria. Il principale mezzo di trasmissione del virus sono le goccioline, prodotte da starnuti e colpi di tosse, ma non è escluso che anche la nuvola di particelle possa portare al contagio.
Una ricerca effettuata nell'ottobre 2019 prendeva in considerazione la trasmissione di diversi virus (tra cui Ebola, Mers e Sars) negli ospedali. Secondo gli autori, l'uso di procedure mediche che generano aerosol per il trattamento di pazienti con infezioni virali potrebbe "potenzialmente amplificare una normale via di trasmissione per i virus respiratori o aprire una nuova via di trasmissione per altri virus". Nel testo si sottolinea che queste procedure (come ventilazione, intubazione e tracheostomia) "potenzialmente in grado di generare aerosol, sono state associate ad un aumentato rischio di trasmissione della SARS agli operatori sanitari o sono state un fattore di rischio per la trasmissione". Il virus potrebbe cioè essere trasmesso dal paziente infetto tramite l'aerosol generato da alcuni macchinari usati per il trattamento medico, ma gli studi a riguardo sono ancora incompleti.
Per questo, i ricercatori hanno ipotizzato che i virus potessero "contaminare" l'ambiente circostante: il rischio di un "contagio per via aerogena era stato ipotizzato e dimostrato in alcuni contesti particolari- aveva precisato il presidente dell'Iss, Silvio Brusaferro-e in presenza di alcune procedure soprattutto in ambito sanitario". Uno studio relativo al Sars-CoV-2, pubblicato a marzo su Jama, ha analizzato i campioni ambientali di diverse superfici, dei dispositivi di protezione individuale e dell'aria. I campioni relativi al paziente C, prelevati prima della pulizia ordinaria, hanno "ottenuto risultati positivi, con 13 (87%) di 15 siti di locali (compresi i ventilatori di uscita dell'aria) e 3 (60%) di 5 siti di servizi igienici (water, lavandino e maniglia della porta ) che restituisce risultati positivi". Inoltre, "i tamponi prelevati dalle uscite di scarico dell'aria sono risultati positivi, suggerendo che piccole gocce cariche di virus possono essere spostate dai flussi d'aria e depositate su apparecchiature come le prese d'aria".
Nonostante la presenza del virus in tali circostanze, non è ancora stata chiarita la sua capacità infettiva. Per farlo, saranno necessari nuove ricerche più approfondite.
Il virus sulle mascherine
"Uno studio in laboratorio ha rilevato parti di virus nella parte interna delle mascherine dopo 7 giorni dall'inoculo". È l'ultima rivelazione sulla sopravvivenza del virus, arrivata dal presidente dell'Istituto superiore di sanità (Iss), Silvio Brusaferro, che qualche giorno fa è intervenuto alla Commissione di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati. Il Report dell'Iss aggiornato al 15 maggio indicava la presenza di particelle virali infettanti a 4 giorni sullo strato interno delle mascherine chirurgiche e a 7 giorni sullo strato esterno. Dopo 7 giorni, invece, non erano state rilevate particelle infettanti. Ma ora, un nuovo studio avrebbe rilevato la presenza di alcune parti del nuovo coronavirus nella parte interna delle mascherine anche a distanza di 7 giorni. "Si tratta - aveva precisato Brusaferro -di uno studio scientifico in ambienti protetti, non è dunque immediatamente assimilabile a situazioni normali. Costruire un setting sperimentali vuol dire tenerlo protetto da luce del sole e da altri fattori che hanno una influenza" sui risultati nella vita reale.
Dagli studi sembra quindi che il Sars-CoV-2 (o una sua parte) si "nasconda" su diverse superfici, negli strumenti usati in ospedale e nelle prese d'aria di alcuni ambienti. Ma per capire il suo grado di contagiosità in simili situazioni servono studi più approfonditi ed effettuati su larga scala.
Che cosa fare?
Per evitare qualsiasi possibile pericolo di contagio, la prima cosa da fare è disinfettare o sanificare ambienti e superfici. I campioni prelevati dai ricercatori negli ospedali, infatti, hanno mostrato che, dopo la pulizia, non c'era traccia del nuovo coronavirus, "suggerendo che le attuali misure di decontaminazione sono sufficienti".
Già a marzo, l'Istituto superiore di sanità aveva pubblicato un'infografica in cui venivano dati "consigli per gli ambienti chiusi". Veniva indicato come fondamentale il ricambio dell'aria in tutti gli ambienti chiusi, da effettuare aprendo regolarmente le finestre più distanti dalla strada e agli orari meno trafficati. Importante anche "pulire i diversi ambienti, materiali e arredi utilizzando acqua e sapone e/o alcol etilico 75% e/o ipoclorito di sodio 0,5%". In tutti i casi, veniva specificato, "le pulizie devono essere eseguite con guanti e/o dispositivi di protezione individuale". Consigliata anche la pulizia degli impianti di ventilazione: a casa veniva ricordata la pulizia di "prese e griglie di ventilazione dell’aria dei condizionatori con un panno inumidito con acqua e sapone oppure con alcol etilico 75%".
È buona norma anche "pulire regolarmente i filtri e acquisire informazioni sul tipo di pacco filtrante installato sull’impianto di condizionamento ed eventualmente sostituirlo con un pacco filtrante più efficiente".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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